Le stelle della tragicità della scelta

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Kaze era disteso sul terreno soffice, cullato dall'erba fresca che lo popolava, mentre osservava le stelle in lontananza. Un'altra notte era calata. Vide Mizu seduto, accanto a lui, con la testa poggiata sulle ginocchia e le braccia che cingevano le gambe. Osservava qualcosa in lontananza, un punto indefinito di un orizzonte invisibile, sfumato tra le volute del cielo notturno. 

Il suo sguardo sembrava leggermente triste.

«Mio caro Mizu, ti vedo pensieroso».

«É il cielo, come sempre, a richiamare pensieri nascosti, oscuri e dimenticati. Pensieri che, forse, io stesso nascondo alla luce dei giorni che non sono la notte».

«Raccontami», disse Kaze, poggiandosi di lato, ascoltando il compagno.

«Sai, ho visto una stella brillare... Là, in lontananza. Ha brillato per un solo momento, ma di una luce abissale».

«Abissale, dici?»

«Si, amico mio. Non saprei definirla con altre parole. Era una luce recondita, che veniva sì dall'esterno, ma allo stesso tempo ne richiamava una interna, in un meandro lontano della mia anima. Una luce che, allo stesso tempo, sento come calda, accogliente... E come fredda e distante. Una luce capace di darti tutto ciò che desideri e, allo stesso modo, di toglierti ogni cosa». 

«Che stella era, amico mio?»

«La stella della tragica scelta umana».

«Ah, una nobile stella, sicuramente».

«Sì, nobile e terribile. Mentre la osservavo, in quell'attimo di fulgida brillantezza, ho ripensato ad un'altra opera, una delle nostre vite mortali. Era la storia del Signor Nessuno, mi pare».

«Mr.Nobody?», chiese Kaze, cogliendo un refolo di memoria da una vita passata.

«Sì, credo fosse proprio quella!«, rispose Mizu, «dove ogni scelta, comporta un prezzo da pagare. Come se fossimo messi su un piano infinito e, scegliendo una rotta da navigare, con i nostri movimenti e percorsi tagliassimo inesorabilmente altre strade, altre storie, altri piani di esistenza, altri noi. Perfino quando scegliamo quali parole pronunciare o scrivere, inevitabilmente uccidiamo le possibilità che ciò che diciamo, venga detto in altro modo». «Stai dicendo che l'uomo, nel suo operare e nel suo scegliere, diviene uccisore dei mondi possibili? Dei mondi che sarebbero potuti essere e che non saranno mai?»

«Dico di più, mio caro Kaze. Che, questa scelta necessaria a cui siamo posti ogni secondo della nostra breve e fugace esistenza, non solo è inevitabile ma è anche, spesso, inconsapevole. Come scrutatori del vortice di possibilità infinite, attirati come falene dalla luce di ciò che potrebbe essere, lasciamo da parte ciò che non sarà mai più. E ne diveniamo consapevoli solo nel momento del passo decisivo quando, come germogli ancora non nati, tagliamo un ramo dell'albero madre. E così, infiniti meravigliosi fiori non vedranno mai la luce in questo mondo». 

«Capisco il tuo sentimento, amico mio. Ma, allo stesso modo, non credi che quei singoli fiori che nascono dalle infinite possibilità siano di inestimabile valore? Tra il tutto che era possibile, la probabilità che proprio quel fiore nascesse, con quelle forme di petali e colori, era infinitesimale. Alcuni lo chiamerebbero miracolo, sai? Che tu sia tu e non un altro, che questo mondo sia questo e non un altro». 

«Credi sia il migliore dei mondi possibili, dunque?»

«Non mi arrischierei a dire tanto, mio caro amico», rispose Kaze, «ma che, semplicemente, sarebbe bastato un singolo fattore, una svolta diversa del corso del tempo universale, affinché io non fossi qui. Ecco, l'universo intero ha cospirato affinché io e te, in questa notte, ci ritrovassimo a parlare sotto le stelle. Dovrà avere un valore, non credi?»

«Eppure, mio amato amico... Eppure, quanti sorrisi non ricambiati, quanti sguardi che non si sono incrociati, per un istante incalcolabile. Quante parole non nate, lasciate a vagare nell'oblio delle infinite possibilità. Quante scelte non compiute, quanti amori mai nati. Avverto il peso della tragicità di ciò che sarebbe potuto essere stato e che, invece, mai sarà. La malinconia del non detto».

«Ti comprendo nel profondo, sento la tua anima Mizu», disse Kaze, mentre osservava il cielo notturno e vedeva una stella brillare.

«Però, vedi, vi è un antidoto a questo dolore. Una panacea che, nel profondo dolore delle vie mai aperte, permette al cuore di sentirsi meno solo». 

«Qual è, amico mio?»

«Possiamo sempre sognare. Sognare delle strade inesplorate, degli amori mai vissuti, delle scelte mai compiute. Sognare di modo che quei mondi, che non sono e mai saranno,  possano avere vita. Anche solo per un istante, un momento effimero che già diviene memoria erosa dal tempo. Possiamo sognare di ciò che vi è oltre l'attuazione effettiva delle possibilità».

«Secondo te è sufficiente per salvare i mondi mai nati?»

«Oh, questa è una bella domanda. Non saprei dirti se sia sufficiente o meno, a dire il vero. Però, se non vi fossero i sognatori, coloro che ricordano memorie di eventi mai avvenuti, tutte quelle possibilità e scelte mai emerse verrebbero inevitabilmente disperse tra i venti del tempo. Ecco, forse è questo che credo, profondamente. Siamo i custodi dei sogni. Anche dei sogni non nostri. E i sogni sono le vie, il diverso dal nostro mondo, che non si sono mai dischiuse». Mizu rimase per un attimo in silenzio, contemplando la volta notturna.

«Chissà», disse, «se un giorno, lontano da noi, l’uomo potrà cogliere tutte le possibilità che gli si presentano dinnanzi». 

«Caro Mizu, quando quel giorno verrà, l’uomo avrà cessato di esistere. Perché l’uomo e la sua essenza sono intrinsecamente legati alla tragicità delle sue scelte. Alla sua mano che tende inesorabilmente verso un punto, una direzione, una luce lontana. Nel momento in cui la tensione cesserà, anche il nostro ruolo e funzione verrà meno. E così, alla fine dei tempi, anche l’ultimo custode dei sogni dormirà di un eterno riposo». 

Mizu si distese accanto a Kaze, mentre la notte continuava la sua veglia, sul mondo di chi ancora sognava.