A volte basta solo una pagina bianca

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21 marzo. Giornata mondiale della poesia. I social esplodono. Sono tutti poeti. Tutti riconoscono il valore di quel potentissimo mezzo che è la scrittura poetica. Ed io, che ricorro spesso a quel mezzo, facendone quasi un abuso per cercare di esprimere meglio i miei pensieri, le mie emozioni, persino per cercare di conoscere me stessa rispecchiandomi nei versi, non ho pubblicato nulla. Non sono riuscita a farlo.

Eppure, sentivo una vocina dentro me che voleva dire ai miei followers “Ehi! Ci sono anche io, scrivo da sempre poesie. Ne pubblico, quindi, una in questa occasione speciale!”. No, non ho fatto nulla di tutto ciò, quasi come fossi stata intrappolata in uno stato di paralisi. Una condizione che mi impediva di condividere con il mondo del web qualcosa di mio. 

Eppure, ripeto, io condivido quasi tutto ciò che mi rende felice sui social. Mi piace far vedere la bellezza dei tramonti a Bologna, o gli spettacoli naturali che mi regala la mia Sicilia. Perché allora in occasione della giornata mondiale di una delle mie più grandi passioni, non l’ho fatto?

Da un lato, ho fatto un respiro di sollievo pensando: “Che bello! La peer pression non ha avuto la meglio sulla mia decisione di contenuti da pubblicare questa volta!”. Dall’altro, però, non lo nego, ho accusato un senso di colpa perché… beh una giornata così importante meritava di avere anche un mio contributo. Non tanto perché io avrei fatto la differenza, tanto c’era già abbastanza carne al fuoco, quanto per il valore che ha la poesia nella mia vita.

La poesia mi ha salvato dalle notti insonni quando le mancanze si facevano sentire un po’ di più, ed ha aiutato quella bimba di dieci anni, che ricordo ancora oggi svegliarsi nel bel mezzo della notte (ogni santissimo 27 notte da quando lei non c’era più), ad affrontare dei mostri più grandi di lei, semplicemente con la potenza delle rime. Chissà da dove provenivano tutte quelle parole, se lo chiedevano sempre i suoi genitori; lei se lo chiede ancora, e forse una risposta l’ha pure trovata.

Scrivere poesie mi ha permesso di viaggiare con la mente (e non solo) per raggiungere orizzonti nuovi che, senza quell’inchiostro che macchia sempre maledettamente il mio mignolo destro, non avrei mai raggiunto.  Sono stati, poi, tanti i poeti, nazionali e non, che hanno guidato la mia strada in ogni step della mia vita. Tra loro, ne cito uno: Gustavo Adolfo Bécquer, di cui ricordo ancora dai tempi del liceo a memoria la Rima XXI:

¿Qué es poesía?, dices mientras clavas
en mi pupila tu pupila azul.
¿Qué es poesía? ¿Y tú me lo preguntas?
Poesía...

eres tú.

Si tratta di una vera e propria metapoesia, che con toni semplici risponde ad una domanda universale. “Che cos’è la poesia? E tu me lo domandi? La poesia sei tu!” Poche righe in cui c’è un mondo ideale, fatto di purezza e sentimento. Lo stesso mondo in cui mi rifugio da sempre, per trovare me stessa.

La poesia mi ha salvato e a volte mi ha fatto sprofondare in pianti liberatori, marchiando quelle pagine. Quelle tante pagine bianche che mi ostino a riempire di parole, cercando di inserire sempre la data e la firma; per ricordarmi, magari un domani, di quel preciso giorno in cui la poesia mi ha sussurrato all’orecchio parole che forse non avrei mai avuto il coraggio di pronunciare. 

Forse per questo faccio sempre un po’ fatica a leggerle ad alta voce le mie poesie, perché avverto una perdita di senso. Quando le scrivo mi lascio ispirare dalla sua voce, quasi come se la Poesia fosse un’entità a sé che ogni tanto mi viene a trovare. Eppure, quella voce è silenzio. Un silenzio che mi dona la pace e il coraggio di voltare pagina. È da tempo, però, che avverto solo silenzio. “Blocco dello scrittore”, così viene definito di solito, ma io lo sento quel desiderio di lasciarsi trasportare dalle parole. Forse per questo a distanza di settimane (finalmente) lo sto ascoltando, anzi mi sto ascoltando. 

Realizzo che in questa vita frenetica e sempre più connessa siamo obbligati a rispettare delle scadenze ben precise. Progetti di studio o di lavoro, viaggi imminenti, post da condividere subito, sennò passano di moda. La poesia, però, per me non poteva ridursi di certo ad un semplice contenuto di real time marketing. Avevo bisogno dei miei tempi, e soprattutto, dei miei modi.

Perché non ho detto tutto questo prima? Ormai sono passate settimane… perché non l’ho scritto prima? Non serviva. Non dobbiamo per forza sentirci costretti a condividere con il mondo le nostre più intime capacità. Non dobbiamo neanche sentirci in difetto se lo facciamo. Sicuramente, però, dovremmo avere il coraggio di rendere i nostri bisogni – perché scrivere per me è questo, quasi un bisogno fisiologico – evidenti a noi stessi. Con un post sui social? 

Credo che a me basti solo una pagina bianca.

In ascolto

davanti ad una finestra.

Nel caos

di una mente in tempesta.

Seguendo un mondo

che non ti aspetta.

Ci sei tu, 

poetessa.

Lasci stare il resto,

e ti senti in difetto.

Allora, ti butti nel mezzo,

ma a quale prezzo?

Stanotte,

Lascia andare la mente,

che tu possa cogliere tutto

oppure niente.

sono qui per te. 

Giulia Grasso, Bologna, 27.03.23.