Il lavoro sui margini: intervista a Cristina Barone di Cliquot

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Scopo della rubrica «Presenze continue» è quello di puntare una luce sullo stato dell’editoria italiana di oggi rispetto alle politiche femministe e d’inclusione, e di far parlare chi, nel mondo editoriale, fa parte di quelle nicchie virtuose che cercano di fare propria l’attività di recupero di voci autoriali sommerse, perché differenti, non conformi e quindi, marginali. In questo contesto, la casa editrice Cliquot emerge come una realtà estremamente conscia di quelli che sono i margini del mondo editoriale, nonché competente nell’attività di ridare vita a quelle autrici che sono state dimenticate e rimosse. E fa questo attraverso un progetto editoriale fatto di selezione accurata e lavoro attento sui testi, di rapporti di fiducia con gli eredi e, soprattutto, di ri-attualizzazione delle voci autoriali del passato recente: affinché queste possano attestare, oltre al loro valore letterario senza tempo, quelle vicende personali e politiche capaci di fare da monito e guida nei tempi nostri. Nell’intervista che segue, Cristina Barone, socia e responsabile della progettazione grafica per Cliquot, ci ha parlato di questa ri-attualizzazione e di questa attività di recupero, e di un progetto editoriale che ha fatto del lavoro “sul margine” una vocazione, una sfida e una missione.   

Sandra Petrignani ha affermato, in un editoriale de L’Espresso, che tra i piccoli editori Cliquot è il più determinato a “recuperare dal cono d’ombra le scrittrici italiane del passato recente”; come prima domanda, allora, ti chiedo: da dove vi è nato l’impulso a questa attività di recupero delle scritture femminili dimenticate? È un progetto nato in concomitanza con la nascita di Cliquot – che si occupa di recupero in generale – o è venuto in un secondo momento? 

La scelta di portare avanti una sotto-collana, all’interno della collana dedicata alla narrativa in sé, Biblioteca, si è delineata fin da subito ma senza che ne fossimo pienamente consapevoli: è venuto un po’ da sé il fatto di trovare un filo comune tra le scrittrici dell’ultimo secolo. Infatti, facendo recupero, abbiamo visto che le scrittrici dimenticate erano di più: c’erano tantissime scrittrici che non avevano avuto occasione di ricevere uno spazio o di avere attenzione editoriale, rispetto ai loro colleghi maschi. Quindi, questa sotto-collana è venuta da sé e fin da subito, già con Livia De Stefani, che è tornata alla ribalta per il suo nome di valore ma che era stata totalmente dimenticata. Poi, una volta visto che in questo filone ci stavamo bene, che ci piaceva dare voce a queste scrittrici degne di nota, che queste avevano un valore letterario pari a quello degli scrittori maschi del Novecento – nonostante si credesse il contrario – e che le scrittrici di cui non si trovava traccia erano molto più numerose rispetto agli scrittori di cui se non ne trovava, allora abbiamo continuato e approfondito questa attività. Verso le scrittrici donne c’era un misto di quasi oscurantismo e dimenticanza: basta il caso di Brianna Carafa, che è stata un successo sia di pubblico che di critica e del cui personaggio non si sapeva più nulla; allora noi siamo entrati in contatto con gli eredi e abbiamo scoperto la sua storia, le sue influenze psicanalitiche e quindi, abbiamo scoperto anche lei e ci è piaciuta. Ci piace far conoscere sia la persona che il libro al pubblico e, dato che questo filone ci piace molto, lo continueremo ancora. 

Quanto alla scelta delle autrici e degli autori da ripubblicare, come funziona e in base a quali criteri portate avanti la selezione? 

L’attività di scouting, con cui si cercano gli autori da pubblicare – per noi esclusivamente inediti o fuori catalogo – segue i nostri interessi e passioni – miei e dei miei due soci – e ognuno di noi ha un filone letterario che segue tramite ricerche, giri nei mercatini e consigli del pubblico, per cui incappiamo sempre in vecchi libri abbandonati. Se il libro poi vale a livello di scrittura e se ha da dire al pubblico di oggi, con voci di autori inseribili nel nostro progetto editoriale – fatto di scrittura di qualità e di contenuti da comunicare a livello di attualità – allora proviamo a pubblicarlo. Basti pensare a Laudomia Bonanni, che parla di femminismo, del ruolo di madre mancata e di donne nella società, e che è di un’attualità sconvolgente. I nostri libri hanno tutti una prefazione, che cerchiamo di affidare a personaggi in linea con i temi trattati in ogni libro e che possano riattualizzarli: e infatti, abbiamo prefazioni di Loredana Lipperini, di Giulia Caminito, di Dacia Maraini. La lettura poi, una volta scovati i libri, viene fatta da tutti e tre e, a volte, anche da collaboratori esterni. Tra questo e le segnalazioni dal pubblico, riusciamo a trovare i titoli che vogliamo pubblicare; poi tra il dire e il fare intervengono tante cose – come il discorso dei diritti – ma siamo diventati bravi anche in questo, rispetto alla fattibilità e al capire quali libri sono ripubblicabili.  

La vostra missione è quella di riportare al centro ciò che finora è rimasto marginale, e quindi, non solo le scritture di donne: il vostro catalogo è estremamente variegato e sui generis, quasi votato alla riscoperta del laterale e dell’eccentrico; ti chiederei di parlarmi delle varie collane che lo compongono, facendo cenno alla valenza etico-politica che queste portano con sé. 

La prima collana che abbiamo avviato in assoluto è Biblioteca, una collana di narrativa che si divide in sotto-categorie: una è quella che ha il suo focus sulla condizione dell’uomo inserito nel sistema sociale e storico del momento e che, poi, può prendere anche una via di critica – da Anderson a un romanzo distopico come La città senza cielo – fino a un filone più weird e orrorifico; poi abbiamo il filone femminile (con Brianna Carafa, Alba de Céspedes, Laudomia Bonanni, Livia De Stefani, Rosalía De Castro) che contiene una scrittura femminile molto politicizzata: mentre nella prima sotto-categoria abbiamo una critica fatta in prima persona dall’uomo che racconta la crisi dell’uomo e del lavoro, o il genere distopico, tra le donne abbiamo più penne autobiografiche, la natura della scrittura si fa più personale, perché si parte dall’essere donna e quindi, anche dalla difficoltà di pubblicare i propri scritti (per esempio de Céspedes che si firmava con le iniziali di un uomo per essere pubblicata, o Brianna Carafa che era arrivata finalista al Premio Strega e poi non è stata più pubblicata); perciò lì l’introspezione è molto più forte e personale, e anche toccante: per questo piace molto adesso, sia al pubblico che alla critica. Tra queste penne abbiamo anche Laudomia Bonanni, che ha criticato il ruolo di “madre mancata”, ruolo che per la società è infamante e che invece dovrebbe essere un diritto – e tutto questo è attualissimo. 

Poi c’è la collana Fantastica, che è più concentrata sulla narrativa dell’immaginario, del fantastico e del fantascientifico, ed è quella che ci ha fatto avere molto successo: mentre la collana Biblioteca,  invece, ha un ritmo di vendite e di gradimento lungo nel tempo. Quella Fantastica è più di impatto ed è quella con cui siamo stati conosciuti e apprezzati. Questo perché contiene libri illustrati, con disegni originali, risalenti al tempo degli autori, ma molto attuali e moderni a livello grafico; facciamo 150 copie numerate e limitate e quindi, è una collana che attira anche il collezionista appassionato. Qui abbiamo fatto la riscoperta di Carlo H De’ Medici e abbiamo pubblicato altri libri a seguire, fino all’ultimo, Il Dottor Nikola di Guy Boothby. Questa collana, poi, è accompagnata da prodotti cartografici e cartotecnici, come il poster, l'acquerello illustrato, i segnalibri in edizione limitata, le spillette, la cartolina: tutta una produzione che, all’inizio, faceva parte di un crowdfunding, mentre adesso invece funziona più come una prenotazione di copie, dato che ora la collana è nota e conosciuta – ma l’idea di mettere accanto al libro un prodotto da collezione è rimasta.

Poi abbiamo la collana Segni, di libri illustrati e fumetti per bambini ma non solo, è anche per gli adulti che ritrovano in quei disegni le storie che leggevano da bambini. Qui abbiamo ripubblicato il primo Pinocchio ma anche due inediti che abbiamo portato e tradotto in Italia dall’estero: Che paura, nonno! di James Flora, uno dei massimi disegnatori di copertine jazz degli anni 70; e Andata e ritorno di Ann Jonas, una bravissima illustratrice e designer grafica che, nell’83, ha vinto il premio per il Miglior Libro Illustrato per Bambini del New York Times; non un semplice libro illustrato ma un trip e un omaggio a Escher. 

Infine, c’è la collana Ajeeb: una collana dedicata agli scacchi, fatta di manuali tenuti da giocatori famosissimi o campioni del mondo. Questa collana è stata fortemente voluta da Federico Cenci, quindi, va di pari passo alla fondazione di Cliquot. Lui è un giocatore appassionato, maestro di scacchi e traduttore, e ha voluto far conoscere questi testi inediti e difficili da reperire. Il progetto grafico, poi, è totalmente interno, fatto da noi, mentre per i libri delle altre collane ci affidiamo a illustrazioni dell’epoca o a giovani illustratori esterni. Questo ha una veste molto curata e si presenta come fosse un libro di narrativa; abbiamo fatto questa scelta per far sì che la collana risultasse godibilissima pur essendo di manualistica. 

In quanto piccola casa editrice, immagino che abbiate avuto modo di comunicare e, forse, di far rete con altre piccole case editrici e librerie indipendenti. Cosa pensate e cosa pensi della realtà editoriale che vi circonda? E quali sono le differenze tra la grande e la piccola editoria rispetto alle politiche inclusive e prettamente femministe? 

Questa è una bella domanda: ovviamente il panorama è variegato, scompaiono tante case editrici quanto poi ne nascono di nuove, e ci sono bei progetti, variegati e curiosi. Però quella della longevità è una bella scommessa: non è facile portare avanti un progetto editoriale, che deve essere solido, altrimenti perde attenzione. Poi, in relazione al ritmo di pubblicazione dei libri, c’è da dire che, al giorno d’oggi, se ne pubblicano centinaia al giorno; noi, invece, ne pubblichiamo massimo dieci all’anno. C’è un intontimento generale, quindi, che non aiuta né i lettori né le case editrici, le quali finiscono per pubblicare moltissimi libri che, però, vengono curati poco e fatti molto male, con refusi ed errori madornali che, prima, non ci si sarebbe mai permessi. Basti pensare alla figura del correttore di bozze, che prima era tenuta su un piedistallo e adesso è relegata in ultimissimo piano, anche dal punto di vista dei pagamenti. E questo è un sintomo di crisi, insieme al fatto che le redazioni sono scomparse: quello dell’editoria è un mondo fatto di freelance, che difficilmente aiutano a mantenere vivo il cuore delle case editrici; e se questo non fa alcuna differenza per le grandi case editrici, per le piccole è indispensabile che ci sia una forte condivisione di intenti e un’unione nella direzione da prendere, altrimenti il progetto si perde per strada. Perché, tra l’altro, è molto costoso: c’è il costo di copertina, c’è il dramma della distribuzione che si porta via un sacco di risorse, c’è la completa mancanza di aiuti statali e istituzionali. Donne che lavorano nell’editoria ce ne sono – e sono tante e brave – ma non è facile ricavarsi un proprio posto, essendo un settore elitario, piramidale e competitivo in senso brutto: le persone che lavorano in questo campo ritengono che sia già un privilegio lavorarci e allora, accettano di lavorare gratis e di farsi sfruttare. Questo fa pesare al fatto che, quella editoriale, dovrebbe essere un’industria – magari artigianale, certo – ma un’industria; quindi,  ad ogni pezzo dell’organismo dovrebbe essere dato un compenso adeguato. Ci dovrebbe essere una tutela che, di fatto, non c’è: in editoria, infatti, manca un sindacato. Redacta si è mossa in questo senso e si sta organizzando ma, ancora, in modo poco fattivo, purtroppo. 

Per finire, vorrei che mi parlassi di alcuni libri, scritti da autrici dimenticate, che avete ripubblicato: del loro valore letterario come della loro dirompenza rispetto al canone letterario novecentesco a prevalenza maschile; ma anche della loro ricezione: se questa è stata maggiore, minore o essenzialmente simile a quella degli altri autori che avete in catalogo. 

Ti parlo di Brianna Carafa, perché sono stata io a leggerla per prima in casa editrice e perché è stata una lettura fin da subito coinvolgente, fresca e moderna, che mi ha immediatamente conquistata: parlava come fosse vissuta al giorno d’oggi,  e ha dato vita a un romanzo di formazione nelle cui dinamiche chiunque di noi può riconoscersi; con una scrittura semplice ma perfetta, ben fatta e ben costruita, che non lasciava nessun termine al caso. È piaciuta tantissimo, è una delle nostre best-seller e molti critici ci hanno conosciuti così; il filone femminile è stato spinto tanto da Brianna. Poi, insieme al suo erede, siamo stati bravi a scavare e a riportare alla luce questa personalità che, a suo tempo, è stata un fulmine, una saetta scomparsa molto presto. Anche il discorso del rapporto con gli eredi è importante, deve essere un rapporto di fiducia e di stima reciproca: noi, grazie al rapporto con l’erede di Carafa, abbiamo avuto accesso ai suoi inediti, alle sue poesie e ai suoi racconti, che poi sono stati raccolti ne Gli angeli personali insieme alle illustrazioni fatte dall’autrice stessa, che sono di una bellezza incredibile. Queste illustrazioni e questi racconti aprono a immaginari mentali forti, calati però nella contemporaneità degli scritti di Carafa; in questi, lei riporta a galla incontri e personaggi con cui ha interagito e che le hanno lasciato qualcosa, cosí come fanno tutti quegli scambi  descritti ne La vita involontaria, i quali contribuiscono a renderla (e a renderci) quello che siamo.