Arte e mito

Scritto da

Marzo è il mese dell’equinozio di primavera. Equinozio deriva dal latino equĭnoctĭum, a sua volta proveniente da aequa nox, una notte di uguale durata al giorno. 

È un momento molto importante per le culture antiche. Nella Mesopotamia coincideva con la festa del nuovo anno; in Egitto è festa nazionale da 4700 anni. Nello Yucatàn la meta principale durante questa giornata è la piramide Maya di El Castillo, costruita nell’attesa del ritorno dell’antico dio serpente piumato, Kukulkán. Qui il sole proietta un’ombra a forma di rettile lungo la scalinata nord della piramide. Battendo le mani mentre ci si trova ai piedi della piramide, si può sentire un suono simile al canto del quetzal, l’uccello sacro ai Maya. 

Per gli antichi romani, l’equinozio di primavera è collegato a Cibele, la Grande Madre, l’eterna, la mai nata. Come tutte le dee mediterranee, era Vergine (non nel senso che si asteneva dall’accoppiamento ma nel senso che non aveva marito, non essendo sottoposta all’uomo in qualsiasi modo). Per partenogenesi, nacque il figlio Attis che divenne paredro. Attis però, si innamorò di una ninfa e Cibele, accecata dalla gelosia, lo fece impazzire tant’è che lo portò all’evirazione. Dal sangue, nacquero delle viole. Per gli appassionati di serie tv che hanno visto The Witcher: non vi ricorda forse qualcosa? Tipo il Feainnewedd, il fiore viola che cresce solo nei posti marchiati col Sangue Ancestrale?

In realtà, fra tutti i miti presenti al mondo che riguardano l’equinozio di primavera, ce n’è uno in particolare che ha affascinato persino Gian Lorenzo Bernini ed è quello di Apollo e Dafne. Il mito inizia con lo scontro fra Apollo e Eros: il dio del sole, riesce a sconfiggere il serpente Pitone, grazie alla sua abilità con arco e frecce e ne beffa Eros, il dio dell’amore che, infastidito dal comportamento di Apollo, estrae due frecce: una dell’amore e una dell’odio. Quella dell’amore è rivolta verso Apollo mentre quella dell’odio è rivolta verso Dafne, una ninfa. Lei ignorava le attenzioni rivoltele dal dio del sole, in quanto lei stessa amava solamente la libertà. Il mito continua con Dafne che stava vagando nei boschi e viene inseguita da Apollo, desideroso di averla. Nel tentativo di sfuggirgli, strappandosi le vesti, chiese aiuto alla madre Gea affinché la forma attuale, causa del suo tormento, sia cambiata in qualcosa di diverso. Dafne si trasforma così in un albero di Laurus nobilis, l’alloro. Apollo, alla vista della trasformazione, rimane impotente. Decide di rendere la pianta sempreverde e di considerarla sacra a lui, tanto da essere considerata simbolo di gloria e prestigio, da porre sul capo di uomini capaci di imprese ardue. 

Oltre ai miti e alle leggende legate alla stagione della rinascita, anche gli artisti hanno dato un’interpretazione personale della primavera nei secoli. Si può partire dal Botticelli, con la sua famosissima raffigurazione della primavera, conservato al museo degli Uffizi a Firenze che faceva pendant con La nascita di Venere. Qui il Botticelli descrive la primavera in un boschetto ombroso, con Zefiro, vento di primavera, che rapisce la ninfa Clori e la mette incinta. Da qui, lei rinasce come Flora, personificazione stessa della primavera. Al centro c’è Venere, sopra di lei il figlio Cupido e a sinistra si trovano le Grazie, le sue compagne che danzano. Per Vincent Van Gogh, invece, la primavera sono dei rami di mandorlo in fiore, simbolo di vita. Per Manet, Le déjeuner sur l’herbe, è l’interpretazione di un pomeriggio all’aria aperta (sapevate che questo dipinto fu rifiutato dal Salon, il posto in cui i pittori esponevano le proprie opere d’arte, insieme a tantissimi altri dipinti quell’anno? Napoleone III decise così di creare il Salon des Refusés, dove quest’opera divenne l’attrazione principale, continuata a giudicare volgare e oscena, non solo a causa dei nudi ma anche per la modernità dello stile compositivo. I francesi non erano molto inclini alle novità). L’ultimo quadro di cui volevo parlarvi è di Georges-Pierre Seurat, Un dimanche après-midi à l’Île de la Grande Jatte. Il quadro fa parte del movimento pittorico del puntinismo francese (per darvi un’idea, il quadro ha dimensioni di 207×308 cm. Ci mise due anni per completarlo). La sua tecnica del puntinismo si basa sulla legge della complementarietà cromatica. Secondo questa legge, i vari puntini di colore puro tendono ad unirsi e a restituire un colore diverso, ricomponendosi grazie alla retina dell’occhio. Si può affermare che Seurat ha anticipato il “pennello elettronico”, ponendosi come progenitore del moderno pixel!