Chi ha il potere di rovinarci la vita? 

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Nel suo ultimo libro, edito da Einaudi, Daria Bignardi si mette a nudo e racconta con sincerità e ironia, come a rovinarle e salvarle la vita furono l’ansia di sua madre e tre libri letti durante la sua giovinezza, tre libri che, nel farla soffrire, le permisero di conoscere meglio sé stessa.            

Al posto della tipica domanda che si pone – qual è il suo libro preferito? – abbiamo chiesto a personaggi del mondo dell’editoria e della cultura – scrittori, scrittrici ed editor – qual è il libro la cui lettura è stata supplizio e sollievo, dannazione e salvezza. 

Il successo dell’idea di Beatrice Sciarrillo ha spronato alla creazione di una seconda parte di questo articolo, le cui domande sono state poste durante l’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino. Per rendere giustizia alle molteplici voci che abbiamo incontrato, abbiamo lasciato che fossero le voci stesse ad animare e dare vita a questa polifonica intervista; la sua stesura, quindi,non appartiene ad un unico autore ma a un collettivo, quello della nostra Associazione, che ringraziamo dal più profondo del cuore per aver reso possibile questo progetto. 

Tutta colpa di Dostoevskij e di Elsa Morante, potrebbe essere questo il titolo alternativo del nostro articolo a più mani. Tra le voci dei più giovani ma anche degli standisti, infatti, i libri che piú di ogni altro hanno rovinato la vita sono proprio i loro, quelli nati dalla penna del tormentato scrittore moscovita e dell’eterea scrittrice de L’ isola di Arturo. In entrambi i casi, tuttavia, a “spaventare” il lettore non è stato il contenuto, quanto la loro impressionante mole: pagine e pagine di caratteri fitti, promessa di noia e incomprensibili voli pindarici. È inutile mentire, in un’epoca in cui 7 secondi sono fin troppi per innamorarsi di qualcosa, più di quattrocento pagine non sono solo ostiche da leggere ma rappresentano una vera e propria tortura, alla quale nessuno si sottoporebbe, fatta eccezione per i coraggiosi “lettori forti”, i quali si approcciano a ogni libro con la voracità anacronistica del topo di biblioteca. 

Eppure, le scuole di pensiero sono diverse. Non tutti evitano i classici per una sorta di “timor sacro”, c’è anche chi associa il loro contenuto a un momento difficile, a una separazione, a una perdita e chi, come c’era da aspettarselo, associa queste letture all’’obbligo scolastico imposto in giovanissima età. 

«Al liceo avevo preso l’abitudine di leggere tantissimo fantasy e light novels ma quando la professoressa ci ha obbligati a leggere Dostoevskij ho perso l’amore per la lettura», ci confessa una delle più giovani del gruppo. «Per me è successo lo stesso con L’isola di Arturo», rincara la collega. «Secondo me ci sono delle età in cui non possono obbligarti a leggere questi mattoni. I libri, soprattutto quelli per le vacanze, dovrebbero sceglierli gli studenti altrimenti è logico che la maggior parte cercherà i riassunti da internet». 

Tra le persone che ci hanno dedicato del tempo per rispondere dobbiamo sottolineare Luigi De Magistris, ex magistrato ed ex  sindaco di Napoli, presente allo stand della casa editrice Marotta&Cafiero per la presentazione del suo libro Attraverso Napoli: «Un libro che, in un certo momento della mia vita, mi ha trasmesso profonda inquietudine e che credo sia molto attuale è Delitto e Castigo, di Fëdor Dostoevskij. Un’altro, che vedo sempre comunque attuale — dal momento che Procida è diventata capitale della cultura — è L’isola di Arturo di Elsa Morante, il quale ci insegna che, attraverso il mare, si può  trovare il modo di costruire un mondo senza confini. Delitto e Castigo è un libro molto profondo, che smuove le coscienze, che fa riflettere sul bene e il male, su tanti aspetti della vita; mentre L’isola di Arturo è particolare, parla di un’isola struggente, del carcere, della vita essenziale, propone una visione. Un libro che consiglio in questo momento, invece, è Il libro bianco di Pasolini: trentanove processi che lo scrittore ha dovuto subire come poeta, regista, intellettuale e uomo di cultura. È un po’ l’aberrazione dell’ordine costituito e certe volte della legalità formale del nostro paese»

La bookblogger Giorgia Negrini, (@leggere_ e_rileggere): «Le affinità elettive di Goethe. Lo lessi da ragazza e ne rimasi affascinata ma anche dubbiosa. Questo gioco di coppie mi trovava impreparata e ciò mi spaventava. L’ho riletto da adulta e ho avuto la mia rivelazione. Alcuni libri devono essere riletti. Solo da adulta ho compreso quei passaggi ostici e non chiari. E ho trovato geniale quel gioco di coppie che finalmente assumeva nella mia testa il senso del libro del grande e geniale Goethe».

L’Editor c/o ABEditore Antonella Castello: «Questa è una delle domande più difficili che ci siano al mondo, eppure ho la risposta. Io sono rimasta veramente sconvolta quando ho letto Una vita come tante di Hanya Yanagihara. Non mi sarei mai aspettata che avrei reagito così, nonostante avessi letto la sinossi e avessi inquadrato di cosa si trattasse. È stato un libro estremamente doloroso. Mi è capitato poche volte di piangere veramente sulle pagine di un romanzo ma questo penso che sia stato quello che più di tutti mi ha fatto soffrire».

Fabio Privitera, autore Aion – riaffiorare dall’oblio, Edizioni Effetto: «Un libro che mi viene subito alla mente è Il codice da Vinci di Dan Brown e, al contempo, Il pendolo di Foucault di Umberto Eco. Il Codice da Vinci l’ho sempre bollato come un libro che inevitabilmente suscita scalpore, perché narra una storia che i profani non conoscono ma che chi ha studiato e ha approfondito le Scritture  — e quindi conosce il rapporto esistente fra Gesù e la Maddalena — conosceva già benissimo, anche solo perifericamente, mediante altri libri. Uno di questi è appunto Il pendolo Foucault, che narra dei templari. Per me Il Codice da Vinci è stato un po’ una croce, perché sono riuscito a capire subito chi fosse intricato nella trama e chi, quindi,  muovesse tutti i fili».

L’editor e translator della casa editrice Contrasto Valentina De Rossi: «Torniamo indietro alla saggistica universitaria. Io dico Essere e tempo, di Martin Heidegger, perché è un libro complesso, difficile da comprendere. È una lettura ostica, complicata ma sicuramente illuminante».

La co-responsabile della sezione cultura del giornale Lanterna Rita Rassu: «Il libro che mi ha rovinato la vita è I demoni, di Fëdor Dostoevskij. Ricordo ancora la prima volta in cui l’ho letto; avevo appena nove anni e nessuno voleva che lo facessi. Mia madrina ne conservava una copia nello scaffale più alto della libreria e ogni volta che ci passavo davanti lo fissavo affascinata, attratta dal titolo e da quel nome così complicato che sembrava impossibile poter pronunciare senza sbagliare. Ne ero totalmente ossessionata; perché non volevano che lo leggessi? Cosa nascondeva di così proibito? Si trattava di magia? Di un segreto? Volevo saperlo. Così un giorno, mentre nessuno guardava, mi sono intrufolata in camera sua, mi sono arrampicata sullo scaffale e l’ho rubato. Ho iniziato a leggerlo all’istante. Non capivo la metà delle espressioni utilizzate, eppure, ricordo di essere rimasta talmente incantata dal ritmo delle parole che mi sono dimenticata di uscire dalla stanza. Ovviamente mi hanno beccata in flagrante ma, a quel punto, non era più importante. Quello è stato il giorno in cui la letteratura russa mi ha rubato il cuore e, forse, ha condizionato tutto il resto della mia vita. Alla fine, quel libro era davvero un po’ magico».