Forse è proprio così; specularmente al “vissero per sempre felici e contenti”, esiste un altro grande epilogo, anche lui più che conosciuto: “lei ama lui, ma lui ama un’altra”.
Lasciarsi, o meglio essere lasciati, molto spesso significa ritrovarsi “da soli” a percorrere le traiettorie della vita dopo aver tanto amato; è un’attività di recupero e di coraggio che appare ai più malinconici come una fatica di Tantalo intollerabile, e che purtroppo ha solleticato l’orgoglio di tutti su questo mondo: proprio tutti.
Di questo abbandono e di questo tentativo, riuscito o meno, ci parla Louise Chenneviere a Più Libri Più Liberi, presentando il suo romanzo Mausoleo, il secondo pubblicato in Italia da Giulio Perrone Editore.
Louise, infatti, da Parigi a Roma, arriva con la sua delicatezza ed eleganza, a dichiarare quel senso di vergogna e di masochismo che purtroppo tanto spesso accompagna le rotture: le parole singhiozzate, il tempo che scorre lento, la nevrosi e l’angoscia che inibiscono qualsiasi gesto di cura e di premura verso sé stessi.
A scandagliare la scrittura interrotta e spezzata di questo romanzo, insieme a Chenneviere, ci sono state Lisa Ginzburg, Antonella Curtò e Gaia Giaccone, in una restituzione corale e tutta femminile anche del pudore che troppo spesso si esercita nei confronti di un amore perduto e che si dispera di ritrovare, proprio come le tracce di chi è andato altrove; come canta Cesare Cremonini in #Marmellata25, in quelle Winston blue lasciate da qualche parte, insieme alle calze rotte e alla patente rosa, tutta stropicciata.
Mausoleo è un romanzo dal tempo circolare e interrotto, in cui non vi è progressione, ma solo un’infinita durata del dolore, dell’attesa: le lancette del cuore della protagonista si sono arrestate a momento di quell’abbandono, e da lì non riescono a evacuare.
Lisa Ginzburg, moderatrice dell’evento, afferma infatti che Louise è stata scrittrice-palombaro, capace di immergersi fino al soffocamento in quelle stesse paure e titubanze; questo poiché nei ricordi ossessivi di chi ha chiuso ormai la porta di casa è facile andarsi a nascondere, per tentare di ricucire lo strappo e di far coesistere passato e presente: ciò che c’era e che adesso non c’è più.
Sembra infatti questo un romanzo d’amore al contrario (come si legge in bandella), sul tempo e sulla scrittura, su tutto ciò che vorrebbe recuperare quella fonte di felicità ma che adesso è esaurita e inesistente.
In quella che Louise, infatti, ha definito “follia del tempo”, si crogiola la sua protagonista: è lo stesso titolo però che già preannuncia il fallimento di ogni tentativo: il mausoleo è il luogo di sepoltura di questo amore, cui la protagonista, contemporanea Didone, sente di star non-vivendo.
La scrittura carnale, singhiozzata e sincopata del romanzo si oppone poi, nell’incontro con l’autrice, alla presenza stessa di Louise, così pacata e gentile, la quale afferma di aver scritto il romanzo in appena un mese e mezzo: la sua era un’autentica urgenza di espressione, per cercare di riconciliare il passato e il presente, con la promessa di un futuro altro, di una rinascita aldilà di quella stessa sepoltura.
Per vivere il proprio, e magari solo con sé stessi, di qualche volta felici e contenti, in questa montagna russa che è l’amore, e che poi tutto sommato è la vita stessa.