Minimum fax, cambiare per rimanere sé stessi

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Che la romana Minimum fax sia una casa editrice - indipendente - di qualità, è cosa nota. Fin dalla nascita, negli anni Novanta, le pubblicazioni vantano autori del calibro di Francesco Piccolo, Lawrence Ferlinghetti (il padre di Citylights, luogo di incontro della Beat Generation), Bukowski, David Foster Wallace, Raymond Carver.

In occasione dell’uscita di Solo amore, biografia del gruppo rap romano Colle Der fomento, scritta da Fabio Piccolino insieme a Danno e Masito, ne ho approfittato per avvicinare Luca Briaschi e fargli qualche domanda.

Siamo a Più libri più liberi, fiera della piccola e media editoria (sempre a Roma); la Nuvola di Fuksas, già suggestiva di per sé, amplifica la spettacolarità dell’evento. La modernità incontra il romantico (perché non si può dire che nell’editoria indipendente non ci sia del romanticismo) e l’effetto finale è, fortunatamente, un connubio perfetto.

Anche le parole di Luca Briaschi contribuiscono alla formazione di questa idea di doppiezza; una doppiezza intesa come felice bilateralità, una serie di operazioni diverse tra loro ma perfettamente coerenti con il progetto di fondo. E, se di coerenza si parla, da una base di partenza valida non possono che uscirne opere di altrettanto valore.

Ci parli un po’ della casa editrice, per chi non la conoscesse. Quali sono le vostre origini? Come è impostata la linea editoriale?

Minimum fax è nata, fin da subito, con l’idea di una doppia esplorazione soprattutto per quanto riguarda la letteratura americana, nella quale si è specializzata negli anni; accanto a questa, valorizza anche le nuove voci della narrativa italiana. Progressivamente, poi, ha voluto allargare lo sguardo ad altre espressività, utilizzando quindi il libro per parlare di alcune delle forme artistiche del Novecento e del nuovo millennio che vanno dalla musica, al cinema, fino ai linguaggi televisivi.

Ci sono, quindi, una serie di collane espressamente dedicate a questi aspetti particolari: forme d’arte diverse dal solito, spesso raccontate attraverso i loro testimoni, le voci dirette di chi fa musica, cinema, televisione.

Prendendo come spunto Solo amore, l’aspetto interessante è che, al di là della materia extra letteraria in questo caso di ambito musicale, la storia dei Colle è molto legata ad una cultura popolare lontana da tutto questo; un pubblico più di strada, quasi viscerale, che raramente si trova alle fiere dell’editoria.

Uno dei problemi della letteratura, infatti, è che si sia così allontanata dalla cultura popolare e di strada. Essa nasce esattamente nello stesso modo, raccontata e trasmessa di generazione in generazione. Noi cerchiamo di lavorare anche per riportarla dove le spetta: non deve essere proprietà di un’élite, bensì di tutti.

Mettere nel catalogo i Colle, accanto a David Foster Wallace, per noi ha perfettamente senso; non c’è uno che prevale sull’altro, fanno parte entrambi della stessa, ampia, idea di cultura. Una cultura che non deve rimanere rinchiusa tra quattro mura ma andare in giro, avvicinarsi alle persone.

Danno e Masito (alias Simone Eleteuri e Massimiliano Piluzzi) ci hanno aiutato molto. Se siamo riusciti a pubblicare è stato anche perché si sono fidati di noi, ci hanno scelto. Segno, questo, di una forte integrità. Hanno capito la nostra idea e ci sono venuti dietro.

Si può quindi dire che l’obbiettivo principale sia la ricerca della qualità, andando anche oltre i canali e i sentieri tradizionali?

La ricerchiamo ovunque. La qualità è legata alla capacità di raccontare e raccontarsi. Il libro dei Colle è di qualità perché non è la classica biografia da celebrity improntata sul gossip, ma è la biografia di un gruppo che ha sempre privilegiato integrità e ricerca rispetto al facile successo e che qui si racconta in modo molto sincero.

Altro aspetto che rende l’opera interessante, inoltre, è il racconto della città negli anni: i cambiamenti dentro di essa, i nuovi spazi che si sono aperti negli anni Novanta, molti dei quali, in seguito, si sono richiusi. 

È anche un po’ una storia della città, che poi è la nostra. Ciò che ci premeva, infatti, era pubblicare anche opere più vicine a Roma, provando a leggerla da più punti di vista.

A questo proposito, durante la fiera organizziamo un incontro al quale prenderanno parte i Colle, con il loro libro, insieme a Valerio Mattioli, autore di un’opera sulle periferie romane e i rave; culture, si può dire, parallele a quelle dei Colle. Insieme a loro, sarà presente anche Marco Molendini che ha invece raccontato, nel suo libro, la Roma della Dolce vita, quella degli anni Settanta, del jazz, una Roma molto diversa.

Ci siamo dunque trovati, anche inconsciamente, a raccontare con il nostro catalogo cinquanta anni di vita di Roma attraverso la musica: ecco, queste sono le soddisfazioni del nostro mestiere.

Con Solo amore avete percepito un riscontro forte anche da un pubblico diverso dal solito, distante dalla casa editrice?

Assolutamente sì. La cosa interessante, nelle operazioni di questo tipo, è che devi riuscire a concepire un libro che possa portarti lettori nuovi da una parte, restando, dall’altra, perfettamente coerente verso il pubblico affezionato. Ciò che mi rende più contento, di questa operazione, non è tanto essere arrivato ai lettori più distanti e ai fan del gruppo, quello me lo aspettavo. È il fatto che i nostri lettori abbiano capito l’operazione. Questo è fondamentale, perché è in questo modo che l’operazione diventa identitaria.

Portare avanti un progetto simile solamente con lo scopo di avvicinarsi al pubblico in modo occasionale, non ripetibile, non ha un buon sapore e di certo non aiuta il marchio. Se, invece, l’operazione presenta un ragionamento dietro che porta all’apprezzamento anche dei lettori più fedeli, allora è perfetta. In tal caso diventa un’operazione veramente felice, e questa mi sembra proprio sia andata così. D’altronde, il libro sta andando molto bene: l’idea, dunque, viene premiata.

Come sta andando la vostra fiera?

È sicuramente un punto di incontro molto importante, ci sono molte persone. 

Abbiamo fatto la presentazione di un libro di un’autrice appartenente al nostro catalogo, Flannery O’Connor, supportati dalla traduttrice. Posso dire che non è stata la classica presentazione, quella che di solito ci si aspetta. La sala era piccola ma piena, molte persone stavano in piedi: questi sono i segnali del fatto che adesso non c’è bisogno tanto del classico incontro con l’autore, la vecchia mistica dello scrittore che parla e che firma copie sta scemando. Sento, invece, che sta crescendo il bisogno di parlare di letteratura con passione, entusiasmo, anche per quanto riguarda gli autori classici! Serve un’idea più ampia del parlare di letteratura. 

Anche questi eventi dimostrano segnali importanti, significa che sta crescendo l’interesse per la letteratura a scapito dell’ossessione per la firma sul libro. Se davvero stiamo andando in quella direzione, allora è senza dubbio una buona e incoraggiante direzione.