"Per il bene del testo": i dieci anni de L'orma editore

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Un’officina di traduzioni

Percorro correndo gli sterminati corridoi del Centro Congressi per raggiungere la Sala Madrid in anticipo, eppure in ritardo - il Salone del libro insegna che non si è mai abbastanza puntuali. Ho paura che si sia già formata una fila chilometrica. Il caldo è asfissiante e lo zaino in spalla pesa sempre di più ogni minuto che passa. Svolto l’angolo che precede la sala: non ci sono più di una trentina di persone, stanno mangiando accampate davanti alla porta d’ingresso, in piccoli cerchi di conoscenze. Qualcosa non quadra. All’evento per i dieci anni de L'orma editore dovrebbe esserci anche Annie Ernaux, che il giorno prima non ero riuscito a vedere per la massiccia partecipazione di pubblico. La poca affluenza potrebbe essere dovuta ad un’indicazione oraria errata stampata sul programma cartaceo: le 15:00 invece delle 13:45. Ora sono le 13:30. Un uomo ben vestito, brizzolato, spunta dal nulla a passo spedito con una pila di libri pastello sotto il braccio. Lo riconosco, è Lorenzo Flabbi, uno dei due editori de L'orma editore, seguito poco distante dal collega Marco Federici Solari, insieme a tutta la squadra della casa editrice. Hanno lo sguardo sbigottito ma sollevato: «purtroppo Annie Ernaux non ci sarà, è dovuta scappare a Cannes per il festival con qualche ora d’anticipo», ci avvisa Flabbi, rincuorato per essersi evitato una folla lamentosa.

Ilide Carmigliani, ideatrice del ciclo L’autore invisibile per la XXXIV edizione del Salone internazionale del libro di Torino, prende la parola per prima: «è strano festeggiare il primo decennale de L'orma editore… questa è una casa editrice che per notorietà e prestigio sembra avere almeno il doppio degli anni». Tutti i presenti in sala annuiscono. 

La realtà editoriale de L'orma editore, nata dall’incontro degli editori Flabbi e Solari, dimostra come sia possibile trovare un equilibrio tra qualità della produzione culturale e logiche del mercato economico. Costruita sul progetto dell’opera omnia di Hoffman, L’orma ha raggiunto il grande pubblico con la traduzione di Annie Ernaux. Sono, infatti, le letterature tedesca e francese i due pilastri che, fusi insieme, formano il nucleo del catalogo e del progetto. Una fusione che riecheggia quella della collana Kreuzville, combinazione fra i nomi di due quartieri simbolo di Berlino e Parigi, rispettivamente Kreuzberg e Belleville. Dieci anni di officina editoriale, quindi, che è soprattutto un laboratorio di traduzione. Ne parla Flabbi, spiegando che nella loro azienda l’opera di traduzione non è affidata al singolo ma si configura come un lavoro di squadra. Ricorda a tal proposito il primo romanzo di Annie Ernaux da lui tradotto, Il posto: «la scrittura di Ernaux è piatta e affilata, è la lama di un coltello, come ama dire lei stessa. Tradurre una scrittura “piatta” e perfetta è una sofferenza, mi provocava i contorcimenti delle viscere. Annie Ernaux è un’autrice che richiede aderenza all’esattezza delle parole… Hegel dice che nessun uomo è un grande uomo per il proprio maggiordomo; ecco, a me piace dire: nessun autore è un grande autore per il proprio traduttore. L’opera di traduzione comporta un’acutezza di osservazione che svela ogni stortura, ogni errore, ogni truffa. Con Annie Ernaux però non succede, lei non bara mai. Ebbene, ricordo che tradussi Il posto e lo lasciai riposare per un po’… pensavo di aver fatto la migliore traduzione possibile. Quando lo rilessi, mi resi conto di aver tradito la scrittura originale, la mia traduzione non restituiva la piattezza di Ernaux, aveva una serie di bozzi… motivo per cui passai il mio lavoro a Elena Vozzi, che prese a martellate il testo appiattendone tutti i rigonfiamenti. È questo il lavoro collettivo di cui parlo».

A tal proposito, Elena Vozzi parla di terza soluzione della traduzione, riferendosi all’approdo che segue lo scontro nel lavoro collettivo: «In casa editrice, i luoghi problematici vengono contrassegnati con un simbolo che non si usa molto in narrativa ed è facilmente riconoscibile: il pallino dei gradi. La prima cosa che facciamo quando revisioniamo un testo è la conta dei pallini, per capire il numero dei luoghi problematici… e su quelli si lavora poi insieme, proponendo soluzioni alternative, fin quando non si è tutti d’accordo».

Per fare ciò, specifica Marco Federici Solari, occorre l’assunzione di responsabilità da parte dell’editore, colui che prende in carico la committenza della traduzione. Nello specifico, si tratta di operare scelte linguistiche nette, da definire per restituire, nel testo tradotto, il sapore dell’originale, che non è sempre garantito dalla corrispondenza terminologica più puntuale.

Lavoro collettivo e assunzione di responsabilità sono le due anime dell’officina della traduzione de L'orma editore. 

«A volte – racconta Nicolò Petruzzella – capita che per certe traduzioni si ritrovino a lavorare in così tanti da non riuscire più a definire, una volta concluso il testo, chi ha tradotto cosa». Un esempio, in tal senso, è Il mago di M. di René Barjavel, un lavoro a dieci mani. «Motivo per cui – continua Solari – in alcuni casi si è resa necessaria l’invenzione di un alias che firmasse la traduzione collettiva. Ce ne sono due, uno femminile e uno maschile. Quello che firma Il mago di M.è Anna Scalpelli, il cui cognome ricorda con un’immagine materiale l’operazione di traduzione. L’alias maschile è un doppio omaggio, al poeta Montale e al critico Contini, che con i rispettivi nomi di Eusebio e Trabucchi firmavano la loro corrispondenza».

L’assunzione di responsabilità da parte degli editori ha delle conseguenze particolari che distinguono le pubblicazioni de L'orma editore. La casa editrice, infatti, non utilizza le note del traduttore. Invitato da Ilide Carmigliani a spiegare come la definizione di quest’assenza si intrecci coerentemente con la storia personale degli editori, Lorenzo Flabbi racconta anche un po’ di sé: «la scelta di non inserire le note del traduttore è legata a un problema di teoria della traduzione. Io nasco, professionalmente, come traduttologo. La traduttologia è una disciplina che lavora sul ritmo del testo e sulla voce del traduttore. Un’operazione diversa da quella più tradizionale, legata alla linguistica strutturale. C’è un’idea ambiziosa nella traduttologia: la traducibilità perfetta è possibile, e tutto – anche la poesia – si può tradurre. Per questo, nei nostri libri le note del traduttore non vengono messe. Si vuole evitare l’interruzione del testo che spezza la lettura e infastidisce il lettore. La nota del traduttore è, insomma, un al di fuori del testo che può essere evitato. Bisogna, invece, individuare le regole del gioco e imparare a giocarle nella lingua storica in cui il testo deve essere tradotto. E ciò lo si può fare bene soprattutto collettivamente e, ovviamente, con l’assunzione di una responsabilità interpretativa».

Molte altre parole sono state dette; per concludere vorrei riportarne sette, pronunciate da Flabbi in relazione all’opera omnia di Hoffman, che riassumono bene il progetto de L'orma editore: «un lavoro per il bene del testo».