Ridefinire le gerarchie: modelli animali a confronto 

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La gerarchia, se si cerca su enciclopedie, dizionari o siti internet, è una parola usata per descrivere le persone che presentano un’investitura nel ruolo del comando, basandosi sul principio della subordinazione.

È un concetto intrinseco sia nella società umana che in quelle animali, sia per le specie sociali che per quelle gregarie, passando anche per le relazioni tra specie diverse, che però hanno subito delle modifiche all’interno della nostra comunità.

Le tribù rappresentano un buon esempio per valutare i passaggi graduali che hanno portato alla creazione della visione gerarchica che attualmente è presente (esplicitamente o implicitamente) nelle strutture sociali odierne.

Le tribù indigene, infatti, erano e sono tutt’ora — se si prendono in considerazione quelle ancora presenti in Amazzonia e Africa — caratterizzate da una ripartizione dei ruoli: gli individui di sesso maschile forti e robusti hanno il compito di proteggere la tribù e di cacciare, in modo da poter procurare il cibo per per sé e per gli altri membri del nucleo familiare (e non solo); le donne, invece, hanno il compito di occuparsi del villaggio (e ciò comprende le faccende domestiche, passando per la crescita dei giovani — maschi e femmine —, fino ad arrivare all’amministrazione della comunità stessa), un ruolo fondamentale nelle società tribali.

Quest’ultimo ruolo era ed è condiviso tutt’ora con gli anziani, visti come fondamentale fonte di saggezza e consiglio per i giovani, sia in ambito culturale che istituzionale, andando a costituire un’importante polo di influenza in seno ai gruppi sociali.

Proprio quest’influenza, con il passare del tempo, ha dato il via al cambiamento della visione comunitaria e, successivamente, dell’uguaglianza tra i sessi.

Da società gerontocratiche — ossia basate sull’importanza dei saggi, sia maschi che femmine — si è arrivati ad una visione patriarcale, in cui è l’uomo ad essere la figura più importante in ambito sociale. La donna, al contrario, con sempre meno potere e influenza nella società, finisce per mantenere il suo ruolo unicamente all’interno delle mura domestiche.

La gerarchia sociale si sviluppa, quindi, iniziando a mostrare segni evidenti di cambiamento, rendendo sempre più visibili le differenze tra individui che, col passare dei secoli, hanno dato vita a sempre più categorie di persone, fino ad arrivare ad una visione di gerarchia detta piramidale, che prevede la formazione di varie classi: il re o un gruppo ristretto di aristocratici al potere; i sacerdoti, che hanno il ruolo di amministrare la vita spirituale; il popolo libero, comprendente vari insiemi di persone che, a loro volta, si sono categorizzati in base al tipo di lavoro; e, infine, gli schiavi, coloro che, nell'antichità, non avevano alcun diritto ed erano sottomessi alle classi a loro superiori.

Questa visione semplificata delle tribù — valida specialmente per le società ormai decadute come quella Egizia o Sumera —  si è man mano persa (soprattutto in Occidente), eppure la categorizzazione derivata da tali suddivisioni è sopravvissuta, arrivando fino ai giorni nostri. Infatti, nonostante le “classi” formalmente non esistano più, esse continuano ad esistere ancora in tutti i settori.

Basti pensare alla nostra vita quotidiana. Quando usciamo con i nostri amici o parenti rimaniamo sempre con la stessa cerchia di persone, solitamente individui affini a noi per abitudini e stile di vita: capita di rado, infatti, di condividere i propri passatempi con persone più o meno abbienti. 

Nel mondo del lavoro —  non solo prendendo in esame il rapporto che sussiste tra impiegati della stessa azienda — non tutti i mestieri ricevono la stessa considerazione e, volente o nolente, si finisce per parlare di lavori di serie A e di serie B. Ciò, alla lunga, ha portato credere  che chi fa l’operaio ha un lavoro sicuramente “meno importante” rispetto a chi fa il ricercatore o il banchiere, e ciò ha spinto la popolazione a creare ancor più divisioni; divisioni e categorizzazioni basate su un pregiudizio che, con il tempo, stanno logorando la società e ledendone i rapporti interni. 

Tale pensiero, difatti, genera sempre sempre più distanza, portando alla creazione di società — come, ad esempio, quella indiana — basata su caste, e allontanandoci sempre di più dalla lotta allo smantellamento delle differenze tra individui. È importante tenere a mente, oggi più che mai, che tutti hanno un ruolo importante all’interno della società, e che ogni ruolo è fondamentale per accrescere e mantenere stabile la comunità, così come avveniva nelle “società” primitive.

La gerarchia, nei gruppi di animali, si stabilisce in maniera diversa a seconda della specie che prendiamo in considerazione: si può far uso della forza bruta o di coalizioni, come avviene per gli scimpanzè; le iene maculate, stabiliscono la loro gerarchia in base al sesso e al lignaggio; alcuni mammiferi, come gli elefanti, preferiscono affidarsi al membro più anziano del gruppo, in virtù della sua maggiore esperienza; e ancora, i pesci spinarello scelgono come leader  l’individuo esteticamente più attraente del gruppo.

Negli elefanti africani la femmina più anziana — che può arrivar fino  a 60 anni di età — ricopre il ruolo di capo branco. Le femmine anziane, infatti, sono fondamentali, in quanto sanno riconoscere il ruggito dei leoni, proteggono il gruppo dagli attacchi dei predatori e, grazie alla loro memoria, possono mappare il territorio, conducendo il branco verso cibo e acqua.

Questa struttura sociale si può riscontrare anche nelle orche; le più anziane, similmente alle elefantesse, hanno un’ottima memoria e, pertanto, sono capaci di ricordare le zone ad alta presenza di pesce, il che permette al gruppo di nutrirsi.

È proprio per questo motivo che la dipartita delle matriarche fa aumentare il rischio di morte dei “nipoti”, poiché la loro esperienza e memoria è fondamentale per la sopravvivenza di tutti gli individui, soprattutto in periodi con poche risorse.

La femmina comanda anche nei clan delle iene macchiate africane, le quali sono classificate in una gerarchia ben strutturata fin alla nascita. Il lignaggio è estremamente importante in questi gruppi, poiché determina e stabilisce il passaggio di potere da madre a figlia. Nei gruppi di iene più numerosi è possibile trovare una suddivisione in famiglie, che porta alla formazione di una piramide del potere, con a capo le famiglie di iene “reali” e, al di sotto di esse, tutte le altre, che assumono più o minore importanza a seconda dell’accesso che esse hanno al cibo.

Questa dominazione, fortemente matriarcale, si impone sui maschi del branco, i quali sono messi  in secondo piano in tutte le attività del gruppo.

L’uso della forza è preponderante nei gruppi di scimpanzè i quali, non nascendo predisposti al comando, si fanno largo tramite l’aggressione, sia per ottenere che per e mantenere il potere. Al potere, difatti, sono associati la riproduzione — il maschio alfa si accoppia con più femmine possibili in modo da avere numerosi figli — e la disponibilità di risorse. Il mantenimento dello stato gerarchico è dato, oltre che dalla forza, attraverso dei favori, che, quando fatti, possono aiutare il capo a mantenere stabile la propria posizione sociale e le dinamiche di gruppo.

In alcuni gruppi di scimpanzé, invece, possiamo trovare l’instaurazione di vere e proprie  alleanze, che permettono di intrecciare forti legami con altri gruppi di individui tramite l’interazione e l’attività di grooming (la pulizia del mantello o della pelle, effettuata da molti mammiferi sul proprio corpo o su quello di un individuo della stessa specie).

Lo sviluppo della gerarchia fra le api, invece, è un processo violento. 

Quando nascono nuove api regine, queste vengono nutrite e poi fatte lottare tra di loro dalle operaie; la vincitrice diventa la regina dell’alveare. Nonostante questa lotta, è importante ricordare che il ruolo delle api regine, all’interno dell’alveare, è unicamente quello di produrre uova per aumentare il numero delle operaie.

Le altre decisioni, come ad esempio dove spostare un alveare in pericolo o se dividerne o meno uno fiorente, vengono prese mediante un modello democratico: in queste circostanze, diverse centinaia di api, dette “esploratrici”, cercano un nuovo luogo dove nidificare e, in seguito alle loro scoperte, fanno ritorno all’alveare per riferire le possibili nuove localizzazioni. Maggiore è l’energia della danza di un’esploratrice, che comunica le informazioni sulla direzione e la distanza del luogo identificato, più le altre sono attratte a visitare quel luogo.

A seconda del numero di visite fatte a un determinato luogo segnalato, sono le stesse api convenute nel sito a capire se hanno raggiunto o meno il quorum necessario a vincere le “elezioni” e se, quindi, hanno trovato il luogo in cui verrà spostato l’alveare. Appreso il risultato dello “scrutinio”, le api esploratrici fanno poi ritorno dalle altre, per comunicare loro l’esito della votazione. 

Da come si sarà potuto constatare, anche solo leggendo questo breve articolo, non sono tantissime le differenze tra i nostri comportamenti sociali e quelli degli animali.

Tuttavia, ciò non ci autorizza a riposarci sugli allori e a dimenticare la necessità impellente di prendere in esame le interazioni fra individui per una lotta volta al cambiamento. Anzi, la gerarchia del mondo animale può diventare per noi un monito e un modello attraverso la quale valutare gli atteggiamenti che arrecano danno alla comunità, in modo da poter sviluppare processi interattivi che promuovano le caratteristiche positive di cooperazione e rispetto degli individui; ma anche nuovi ideali che portino beneficio alla società, come la libertà d’espressione di cui sono ottimo esempio le api, che prendono decisioni sempre e solo democraticamente. 

Le api, infatti, sono candidate estremamente oneste ed estranee all’inganno e, in quanto tali,  trasmettono le informazioni con lealtà e sincerità, cosa che non sempre succede fra esseri umani.