Viaggio nella narrazione di “House of the dragon”

Scritto da

Una carpa nuota nelle acque del Fiume Giallo, con lo sguardo dritto verso un’alta montagna, da dove scende una grande cascata; il pesce brama di poter raggiungere la vetta e dunque decide di percorrere la corrente contraria per compiere il suo obiettivo. Questo viaggio è arduo: ci si scontra con gli altri pesci discendenti, l’impeto del corso d’acqua è forte e rischia di respingere la carpa; essa, nella confusione, continua con forza a nuotare. Il tempo passa e l’animale muta col suo scorrere: i suoi baffi si allungano, le sue pinne si fanno più spesse e divengono appuntite, la sua coda cresce. Dopo giorni, la carpa raggiunge la cima del monte, estenuata, tanto da rimanere inerme all’interno di una pozza d’acqua; questa, però, si illumina, accecando il pesce. Quando la forte luce sparisce, la carpa si ritrova trasformata completamente: essa è divenuta un drago.” 

Con questo racconto risalente all’antica Cina, vi porto con me in una dimensione fantastica e peculiare, risvegliata dall’influenza che ha avuto su di me la recente serie House of the dragon, responsabile di una nuova era per quelle creature che, in maniera analoga alle chimere e alle manticore, uniscono insieme elementi di vari animali, anche appartenenti a diverse specie. Serpenti, lucertole, coccodrilli, pesci, cervi e dinosauri, difatti, fusi in un’unica bestia, danno vita a quella creatura che comunemente chiamiamo “drago”; ma, effettivamente, dove ha origine questo temibile mostro? 

Innanzitutto, cominciamo dal termine in sé: sembrerebbe derivare dal greco antico «drákon», sostantivo che si traduce come ‘serpente’, indicando dunque la connessione con uno degli animali citati poc’anzi; interessante è il nome in lingua sanscrita, «dragh-ayami», con significato di ‘allungare’, che dà l’idea del corpo longilineo della creatura. Dall’antichità, infatti, si cominciano a identificare i draghi nelle maniere più disparate. Sia la civiltà greca che quella romana nell’antichità chiamavano con questo nome i serpenti di grande stazza che, probabilmente, oggi identifichiamo con i pitoni («Pythonidae») e che tenevano solitamente come animali domestici.  A livello mitico, due esempi sono lampanti: Ladone e l’idra di Lerna. Entrambi nemici del semidio Eracle – Ercole per i romani –, i quali hanno come principale caratteristica la presenza di multiple teste. Sulla stessa lunghezza d’onda, dall’altra parte del mondo, nell’arcipelago del Sol Levante, il dio delle tempeste Susanoo combatte Yamata-no-Orochi, il ‘serpente a otto ramificazioni’; mentre – rimanendo all’incirca nella stessa area del pianeta – la religione induista e quella vedica vedono la presenza dei «nāga», mostri per metà uomini e per metà serpenti, affiancati dalle ‘viverne’, dei draghi caratterizzati dalla pelle squamosa e dalla coda uncinata. Spostandoci nelle Americhe, il drago messicano, meglio definito ‘anfittero’, è una divinità vera e propria: Quetzalcoatl è il nome del serpente piumato idolatrato maggiormente tra le popolazioni precolombiane.

Ognuna di queste creature è rappresentata in dipinti, arazzi, araldi, alto e basso rilievi; se immaginassimo di porci davanti ad una di queste opere, l’effetto, molto probabilmente, sarebbe dicotomico: da una parte ne rimarremo affascinati, dall’altra intimoriti, e proprio tali sensazioni sono i poli che circondano l’aura di tali bestie. Non è un caso che nel nostro mondo si schierino proprio due filosofie, quella occidentale e quella orientale: la prima vede i draghi come creature maligne, distruttrici, divoratrici di bestiame e uomini, affiliate al diavolo – Satana, nell’Apocalisse di San Giovanni, è descritto come un’idra cremisi; la seconda, invece, definisce queste creature magiche, portatrici di buon auspicio e pozzi di grande saggezza; in Cina, in particolare, il drago è simbolo imperiale. 

Seppur con nette differenze, l’elemento che accomuna le due macro-visioni è sicuramente la percezione di grandezza nei confronti dei draghi, la quale porta l’uomo a voler usufruire di quest’ultimi. Dunque, che sia con sacrifici o con particolari rituali, gli esseri umani cercano un contatto diretto con la creatura. Gli esempi sono innumerevoli, basti pensare appunto alla serie che ho citato precedentemente – House of the dragon – in cui l’individuo deve richiamare il drago attraverso un idioma specifico, conosciuto come alto valyrian, dandogli inizialmente degli ordini per ammaestrarlo, fino ad arrivare a una quasi sottomissione dell’animale che, infine, si lascia cavalcare dal proprio padrone, pronto a viaggiare nel cielo per spedizioni, diletto o per andare in battaglia, usufruendo dunque di uno strumento da guerra invincibile. Una funzione estremamente diversa la si è vista nel manga e anime Dragon Ball, in cui è presente il drago Shenron. Intanto partiamo dal nome di questa entità, che in lingua giapponese è scritto col katakana, scrittura fonetica per i termini provenienti da lingue straniere, poiché difatti è un nominativo d’origine cinese: «shén», ‘dio’, unito a «lóng», ‘drago’, che in giapponese è traslitterato nella maniera vista qualche riga sopra: ecco che l’entità è un drago divino; come tale, nell’opera di Akira Toriyama, è il drago che si materializza, attraverso l’unione di sette sfere magiche sparse per il mondo e un’invocazione. Nel momento in cui il rito è attuato, l’idolo chiede di esprimere un desiderio – addirittura più di uno nel corso della storia – e, all’esaudirsi della richiesta (o delle richieste), il drago scompare e le sette sfere si sollevano in cielo, per poi lanciarsi da sé casualmente in più parti del globo. I due esempi presi in esame ci portano nella cultura che si potrebbe definire ‘pop’ dei draghi, e bisogna dar credito al loro successo nel consegnarci degli spunti importanti. Questi mostri, oltretutto, sono capaci di fare ulteriori azioni, al di là di ciò che è solito osservare nella dimensione dei viventi: si librano in volo, arrivando a vette altissime; con le loro ali riescono a creare forti correnti d’aria; sono in grado di emettere fiamme dalla bocca; possono addirittura avere capacità di visione ipnotica, oppure, di emettere un alito velenoso che uccide chiunque lo respiri. Inoltre, la loro è forza inaudita e le loro dimensioni raggiungono livelli a volte gargantueschi.

Ci sono esseri viventi che vivono molto lontani tra di loro, a causa di componenti biologiche e ambientali che li costringono a rimanere circoscritti in dati territori; pertanto, raramente determinate specie s’incontrano, forse non sapendo neppure dell’esistenza reciproca. Uno degli aspetti principali per cui umani e draghi sembrano viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda è il fatto che essi abitano il nostro mondo occupando gli stessi territori; questo, come si può dedurre, fa sì che le due specie s’incontrino spesso. All’interno delle dimensioni appartenenti alle opere con elementi fantastici, i grandi dominatori sono proprio loro e, quando il trono è uno solo, non si può di certo sedervisi in due. Avere una soluzione netta non è possibile, pertanto è necessario un compromesso, che si traduce in una convivenza non poi così stabile ma apparentemente funzionante. Ecco che l’uomo è servo della creatura e questa lo è per lui; non si sa davvero chi l’abbia vinta, chi sia più da temere o da rispettare. Shenron, ad esempio, non si avvarrebbe di alcun potere se non fosse per gli umani che, per esaudire i loro desideri, ricorrono all’evocazione di quest’ultimo; e i draghi dell’epopea Targaryen rischierebbero di sterminare chiunque, se non fosse per le persone che decidono di ammaestrarli.
Attraverso questa mia narrazione, giungo insieme a voi lettori a una consapevolezza che può apparire forse scontata, per quanto in realtà non lo sia granché: l’esistenza intera si basa sulla continua relazione tra enti. Oggi più che mai siamo di fronte a uno scenario che scuote le fondamenta della società, solide in apparenza, eppure pronte al collasso.

Si ha talvolta l’idea di essere come delle isole, terre che, facendo un’attenta analisi, sono state nominate tali poiché circondate da acqua. Considerando l’interazione con questo elemento inusuale e ‘isolante’, tuttavia, possiamo dire che, in verità, l’acqua e la terra si relazionano tra di loro; non vi è nulla di passivo in tale rapporto. Dunque, niente è davvero solo, tutto ha un effetto continuo ed è come un ingranaggio in cui ogni ruota interagisce con l’altra, facendo funzionare la totalità.

Ognuno di noi può far venire alla luce aspetti propositivi, in grado di farci convivere meglio con ciò che ci circonda; il singolo è in grado di fare la differenza – per quanto sembri assurdo e di poco conto – perché in realtà una mano tira l’altra, ed è bene ricordarlo. 

Quindi, tendiamo i nostri palmi o, per rimanere in tema, le ali!