La notte senza stelle

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Silenzio.

Nessuna parola o suono osa scalfirlo, attenuarlo, addolcirlo.

La cortina di silenzio è pesante, in questa notte. 

Un peso che grava sul mondo di chi dorme e di chi è sveglio.

Uomini che conoscono la serenità apparente e la pace delle loro case, e donne che le abbandonano, avvolte in una coltre di violenza e di paura. Su entrambi il silenzio cala, in forma di rispetto, di ancestrale preghiera. Perché le parole umane non possono identificare la mostruosità dei nostri antri più oscuri, marcescenti… eppure, incontrovertibilmente parte di ciò che siamo. 

Se non con un grido lontano: “L’orrore! L’orrore”

Mizu e Kaze, seduti l'uno accanto all'altro, non parlano.

Fissano il cielo notturno, senza stelle a illuminare. Quasi come forma di rispetto, quella notte non vi sono le meravigliose luci. Anche la bellezza, dunque, resta quieta in rispetto del dolore di fratelli e sorelle lontane ma ad un passo di cuore da ognuno di noi.

Vorrebbe parlare, Mizu, esprimere il cocente dolore che prova ma non ci riesce. E’ trascendentale, eppure così umano e viscerale. 

La spirale della violenza, della brama e dell'avidità che attira l'uomo con voce suadente.

Oltre la notte stellata, i fumi della violenza nascondono le vite spente all'occhio meno attento. 

E forse, proprio quei fumi della guerra, offuscano la vista delle stelle splendenti, nostre amate.

Ma come si può pensare ai racconti, alle favole, alle meraviglie se, sulla terra oltre la notte, non v’è pace? Se sulla terra, oltre la notte, gli uomini conoscono solo il dolore e l’insensata violenza.

Kaze sente l'anima del suo amico che soffre, mentre alcune lacrime gli rigano il viso. Vorrebbe parlare anche lui, confortarlo, anche solo con un abbraccio. Ma resta fermo, incapace di esprimersi.

Nessuna stella brilla nel cielo, nessuna stella può brillare. Poiché esse, nostre predilette, splendono nella mutualità del nostro vivere. Delle nostre storie, sono le ispiratrici, le guide, le muse. E, allo stesso tempo, dalle nostre storie traggono a loro volta ispirazione, per brillare ancor di più e, in noi, suscitare quel senso del sublime. 

Mizu si gira verso Kaze, il volto ancora solcato dalle tracce della sua tristezza; sono testimoni della spirale ciclica della tragedia umana. In un continuo reiterare di errori, di orrori, di dolori.

Kaze si chiede se, alla fine del tutto, l’uomo non sia che questo. Una forma di prepotenza, di immanente sopraffazione dell’altro, del più debole. Spera di sbagliarsi ma, non avendo alcuna luce a guidarlo in quelle tenebre, in quella notte, non ha nessun luogo dove guardare.

Nemmeno quel mondo, ammantato dalla dolce coperta dell’oscurità notturna, può esimersi dal sentire ciò che accade oltre, nel mondo del giorno, dove la Storia prosegue nel suo incessante scorrere.

Quanto vale il singolo uomo, si chiede Mizu, posto dinnanzi all’enormità degli eventi che lo travolgono quotidianamente? Dove la sua voce sembra essere solo un lontano eco, inascoltato, di paura. Un’ombra celata alla vista, dove il suo grido di aiuto ormai sembra la testimonianza di un inevitabile fato, un destino ripetuto in una sorta di enorme roulette del mondo? Oggi a lui, domani forse a me. Ma fintantoché la ruota gira e non punta la freccia della disgrazia su di noi, possiamo avere il cuore calmo, l’anima serena. 

Al modico costo della nostra vista, voltandoci dalla parte opposta.

Quanto vale la singola vita umana, si chiede Kaze? Triturata e macinata dalle macchine della tecnica e del profitto, dove la sopraffazione è la regola e la sopravvivenza l’unico vero lusso da rincorrere. Quanto vale la vita umana, in questo mondo di algida computazione e quantità? Dove il valore del singolo è dato da una semplice equazione valoriale, di apporto produttivo nella nostra società globale. In questo Stato di Natura, camuffato ed imborghesito da diritti violentati, abusati, dimenticati. 

In un mondo che corre più veloce della nostra umanità, il metro etico dell’umanità stessa si dovrebbe calcolare basandosi su queste due domande.

Sull’altare del progresso, dell’avanzamento, della Storia che diviene immanente, dimenticarci delle vite che sfioriscono ancor prima di sbocciare, equivarrebbe a dimenticarsi di noi stessi.

Mizu e Kaze vorrebbero dire tutto questo e molto, molto altro ancora. Ma con quale coraggio, con quale leggerezza dello spirito, possono dar voce ai loro pensieri? Pensieri così lontani dall’azione, dal cambiamento reale, auspicato ma che mai avviene. Il pensiero, si rendono conto, è un lusso; di cui, molte, troppe persone sono private, schiacciate dalla realtà opprimente che non permette spazi. Dalla realtà che obbliga all’unica scelta possibile: la rincorsa alla vita, alla sopravvivenza.

Mizu e Kaze sono fortunati, privilegiati in un certo senso. Hanno la notte stellata, dove poter trovare accoglienza. Una sorta di luogo non luogo dove le anime possono incontrarsi e darsi conforto. Eppure, quella notte stellata, rimane lontana ai tanti che non possono permettersi quei “grandi” pensieri, quella rincorsa alle meraviglie, alle storie e ai racconti.

Eppure, dentro di loro e nel loro silenzio, sperano quasi che una brezza leggera possa prendere quei pensieri e trasportarli dolcemente nel mondo, oltre la notte, per poter dare una forma, una carezza, un bacio a chi la notte e le stelle non le vedrà più.