Sala Gialla del Salone Internazionale del Libro di Torino, ore 10:45 — le persone in fila iniziano a diventare sempre più numerose, via via prendono posto, e tante di loro richiedono l’attestato di frequenza per la scuola, affermando di essere insegnanti.
Se a prima vista questo incipit potrà sembrare una mera digressione precisina – in merito alla professione dei partecipanti all’evento – in realtà è un dettaglio di non trascurabile importanza, in un’occasione come quella di cui state per leggere.
Questo poiché i Centri Emma-Progetto S.O.S. e Giralangolo, Rizzoli e Settenove edizioni hanno rinnovato all’attenzione di noi tutti, dandoci notizie e accorgimenti che nel tempo sarà sempre più utile continuare a tenere a mente.
Stiamo parlando dell’evento dal titolo “Che favola racconti! Le principesse si salvano da sole e i principi scendono da cavallo”, nel quale i moderatori hanno potuto argomentare e discutere, insieme ad un interessatissimo pubblico, i risultati di anni di ricerche, condotte sulla base dell’innato “double standard” che si perpetua in tanta letteratura e didattica per l’infanzia.
Che gli stereotipi di genere siano ancora tanto radicati nei racconti e nelle antologie pensate per i più piccoli purtroppo non è un dato che ci sorprende; ed è da questo punto di partenza che i centri antiviolenza E.M.M.A. e CENTRO S.O.S. si sono mossi fin dall’inizio, al fine di proporre percorsi di intervento e di riflessione concreti e accessibili.
Nelle strutture il lavoro che si svolge in prima linea è quello di fornire ad orfani di femminicidio aiuto e sostegno tangibili, che poi ovviamente mirano anche al riconoscimento e alla prevenzione della violenza domestica: messaggi utili a riconoscerla, anche nelle sue forme più subliminali, così da poter agire – fin dai primi anni di primaria – sulle sensibilità stesse dei bambini (e perché no, anche dei più grandi che leggono e continuano ad imparare insieme a loro).
La pedagogia di genere è stata la protagonista di questo incontro, proprio per illustrare quanto sia fondamentale formare gli attuali – e i futuri – educatori ad una corretta e ragionata sensibilità in merito alle questioni di genere.
È stato dunque dimostrato come, talvolta, sia la scuola italiana stessa a reiterare (inconsapevolmente) quei pregiudizi che invece andrebbero scardinati, in virtù di una riflessione che sia quanto più informata sugli attuali dibattiti in tal senso.
Tante possono essere le ragioni di questo fenomeno: due delle più importanti – con dati alla mano – ci parlano proprio della condizione del nostro sistema educativo: l’83% degli insegnanti in Italia sono donne, e in tal senso la scuola italiana è “la più anziana”, poiché l’età media di chi accede alla cattedra è la più alta in Europa.
Possiamo solo immaginare quante e quali siano le ripercussioni dei nostri insegnamenti a partire da questi due parametri, che però non vogliono essere più degli alibi, piuttosto degli spunti da cui partire.
Moltissime sono state le occorrenze riportate di esempi sessisti, proposti nei libri delle elementari dall’inizio degli anni 2000 sino ad oggi, in cui lo spaccato della complementarità di genere appare come una gabbia interpretativa chiarissima: nei libri che proponiamo ai bambini, alla figura femminile è sempre attribuita la sfera della cura e dell’accudimento.
Le donne, nei libri di testo, raramente lavorano: non vengono mai descritte o presentate sulla base della loro professione; sono sempre madri e mogli.
Gli uomini hanno invece tutte le caratteristiche di quella che – negli studi di genere – viene riconosciuta come mascolinità egemonica: è delle figure maschili l’esecutivo, il potere, che raramente hanno a che fare con l’affettività e la dimensione del romantico.
Proprio per non arginare gli stereotipi, ma per farli esplodere a partire dal loro nucleo più radicato, interviene la lettura proposta nel nostro incontro.
La collana “Sottosopra”, ad esempio, della casa editrice Giralangolo è dedicata proprio alla rivendicazione dell’inesistenza di un doppio binario: la rappresentazione cui bambini e bambine sono sempre stati abituati ad incasellarsi viene smantellata, per permettere ad ogni singolo lettore o lettrice di riconoscersi in storie nuove, raccontate da nuovi personaggi.
Anche la casa editrice SetteNove appare lungimirante: il suo stesso nome lo deve all’anno 1979, nel quale c’è stata la prima convenzione che riconosce la disparità di genere come elemento primo per configurare i reati di violenza.
Non si tratta dunque, in nessun caso, di riscrivere testi già scritti, bensì di proporre immaginari più inclusivi che possano restituire alla narrativa la stessa varietà che nel mondo ci è manifesta: un mondo in cui l’identità di genere e l’orientamento sessuale non ci costituiscano e non ci "incasellino” come esseri umani in grado (o meno) di fare o di poter dire determinate cose.
Per poter insegnare ai più piccoli cos’è la violenza è importante partire da cosa non è necessariamente violento: una lettura guidata e assennata, in tal senso, non è altro che una griglia interpretativa in più, e forse più approfondita, per restituire al reale quella pluralità che tanto ci fa ancora meravigliare nelle storie che ci appassionano, e di fronte a qualunque essere umano che incontri il nostro sguardo.