Questo mondo mi ha (già) reso cattivo

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Vorrei che questo articolo, che articolo non è, fosse una sorta di lettera, personale. Rivolta non solo a Zerocalcare, ma a me stesso, agli altri, a voi.

Questo mondo mi ha già reso cattivo. 

Ne sono assolutamente consapevole, quasi rassegnato. Viviamo in una società indifferente, frammentata tra barriere visibili. E in realtà non ci rendiamo conto che quelle fragili barriere di vetro, siamo sempre stati noi. 

Solo che, adesso, siamo piccole schegge cadute a terra, spezzate reciprocamente.

Questo mondo mi ha già reso cattivo. 

Il cuore deve chiudersi di fronte alla vastità del freddo che c’è fuori. 

Possiamo permetterci di essere noi stessi solo in pochi momenti, in pochi rifugi sicuri. Facciamo calare la maschera e, per un momento, permettiamo a chi ci vuole bene di scorgere un riflesso del nostro sguardo più puro, più genuinamente bambino.

Questo mondo mi ha già reso cattivo. 

Perché sono più le volte che mi dimentico dell’amore che provo, piuttosto che quelle in cui me ne ricordo. Sarà per il cuore spezzettato, sminuzzato, reso polvere di poca consistenza, di poca sostanza. Sarà perché sono più le volte in cui giro lo sguardo, che quelle in cui decido di guardare la sofferenza altrui.

Sento l’ipocrisia nel mio cuore, Zero. Un po’ come la sentivi tu, nel dover scegliere se parlare dei tuoi amici. Oppure vivere sereno di quella sorta di trasversalità umana che sei riuscito a trovare. 

Prendere una rotta, scegliere una sola direzione, affermare a piena gola: “No, per me, no!”.

 A tratti, in questo mondo di ombre inafferrabili, mi sembra impossibile.

Alla fine siamo piccole gocce in un mare che non vediamo, sbattuti dalle onde che ci sovrastano e il di cui peso, magari, nemmeno sentiamo più. 

Vortichiamo per correnti che ci sferzano e non abbiamo più la forza di dire che ci fa male.

Che l’odio, la violenza, la cattiveria ci fanno male. Così tanto assuefatti e abituati che non ci sembra più così strano. Uno schiaffo, un pugno, una parola.

Sono tutte armi normali, in una realtà plasmata da battaglie.

Questo mondo mi ha già reso cattivo. 

Il problema è che non mi ricordo di come fossi quando ero buono. E magari, mi dirai: nessuno è veramente buono, esistono le scale di grigi, le sfumature di colore. Ma come si fa a non ricordare nemmeno cosa vuol dire sentirsi buoni? 

Che poi, alla fine, non credo nemmeno che sia bontà. Ma forse quella semplice sensazione di contentezza nell’arrivare a fine giornata e dire: oggi ho tentato con tutto me stesso di non fare del male. 

E sai che ci saranno giornate in cui, nonostante la buona volontà, non ci riuscirai: ferirai, spezzerai, distruggerai. Ma come si arriva a quel punto in cui nemmeno senti più l'esigenza di essere una persona migliore? 

Questo mondo, Zero, mi ha già reso cattivo.

E forse non è nemmeno la cattiveria che stavamo cercando di descrivere, di inquadrare, di delineare come mostro da combattere. 

Ma è proprio la distanza umana.

Nell’impossibilità di riconoscersi come affini, come amici, come fratelli. 

E so che non tutti dobbiamo amarci. 

E so che non tutti dobbiamo sentirci così.

Eppure mi chiedo così spesso: com’è che l’amore non vince veramente mai? 

Ti ricordi quando è stata l’ultima volta che ha vinto? 

Nessuno chiede di non soffrire. Ma che almeno ci venga lasciata la speranza di poter stare meglio, con noi e con gli altri. La speranza squisitamente umana di guardarci allo specchio e, sebbene mancanti, non sentire repulsione verso ciò che la nostra immagine rappresenta.

Questo mondo mi ha reso cattivo, Zero.

Perché mi toglie il coraggio, perché mi fa mettere su una bilancia falsata ciò che è giusto con ciò che mi fa comodo, ciò che è meglio per me, ma solo me, e non mi da mai la possibilità di pesare autonomamente le due parti. 

C’è sempre l’intermediario; l’altro peso della bilancia, la Società, i pregiudizi, il guadagno, lo stare superficialmente bene, il proprio tornaconto, i compromessi indecenti, la svendita delle proprie idee.

Caro Zero, questo mondo ci ha già reso cattivi.

Pitagora diceva che i pianeti producono delle melodie con i loro moti, le loro proporzionali distanze, le loro lontane interazioni, ma che, con il passare del tempo, perdiamo la possibilità di sentirle, così tanto abituati come siamo ad avere quei suoni nelle orecchie da quando eravamo piccoli. Li diamo per scontati, come un’eco lontana di ciò che eravamo.

È un po’ come per la cattiveria: siamo così tanto abituati ad averla ogni giorno sotto gli occhi, impregnati fin nel midollo dalle brutture della vita, che non ce ne rendiamo quasi più conto, nemmeno un gesto a scansare quella sgradevole sensazione di essere osservatori indifferenti.

Forse sarà quel quasi a salvarci, alla fine.

Carissimo Zero, siamo cattivi. 

Eppure, la speranza di essere migliori forse non ci ha abbandonato del tutto.

Ti mando un abbraccio, anche se non ci conosciamo, anche se divisi dalle frangibili barriere di vetro che ci compongono. 

Sperando di riscoprirci schegge di vetro, senza voglia di tagliare.

Matteo