Leggiamo la vita, non l’efficienza

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«L’immediatezza vale la qualità dell’informazione?»

 

Riccardo Piazza, Silvia Bottero, Giselle Cantonetti e Rita Rassu dell'APS Lapaginabianca.docx se lo chiedono spesso. In particolare, Riccardo si è fatto portavoce di tale domanda per i microfoni di Radio Roma Capitale, quando ha raccontato la raison d'être dell’associazione di promozione culturale e sociale che lavora “da essere umano a essere umano”. Noi de Lapaginabianca.docx abbiamo dato la nostra risposta, tuttavia non è detto che il quesito nasca da un’esigenza condivisa. Ecco perché ho voluto dare un’occhiata in giro, per scoprire cosa si dice al di là dei confini del nostro documento DOCX. E l’ho fatto interrogando la realtà editoriale de Lo Spiegone, un’organizzazione di promozione sociale nata nel 2016 “sul pratino di Scienze Politiche” della Sapienza, divenuta poi testata giornalistica nel 2020.

Tutto è cominciato con l’avvicinarsi di Più Libri, Più Liberi 2022, quando ho chiesto a un amico di darmi una mano con un’idea che riguardava la fiera della piccola e media editoria romana. Sto parlando di Emanuele Bobbio, Autore Nord America, Oceania e MENA… e fondatore de Lo Spiegone. In quest’occasione mi racconta che Edizioni Firenze ha da poco pubblicato un saggio firmato dalla sua associazione: La nuova era di Xi Jinping. Assertività e contraddizioni della politica estera cinese, di Lorenza Scaldaferri e Veronica Barfucci, la prima Autrice Asia e la seconda Vicedirettrice e Caporedattrice Asia.

La notizia mi entusiasma. Nella mia prima Più Libri, Più Liberi da articolista, potrò trattare un tema di attualità dedicato a una cultura millenaria come quella cinese – culla della filosofia taoista che tanto mi appassiona. Ma Emanuele ha in mente qualcos’altro: «Magari puoi fare un’intervista più sul metodo che sul contenuto: un’intervista sullo slow journalism. E il libro è la metafora.» 

In realtà, alla fine ho fatto entrambe le cose. Ma non in quel della Nuvola Fuksas: ho dovuto aspettare il 25 febbraio 2023, quando alla libreria Tomo a San Lorenzo è stato finalmente presentato il lavoro di Scaldaferri e Barfucci – ma questa è un’altra storia: stay tuned. All’avvicinarsi di questa data, ho ripreso il discorso con Emanuele, che non ha esitato a mettermi in contatto con il direttore editoriale de Lo Spiegone in persona.

Alberto Pedrielli, già Autore Nord America e Oceania, è stato così gentile da sottoporsi alla mia intervista nonostante io non sia del mestiere. Ma confesso che giocare al giornalista-che-intervista-il-giornalista è stato molto stimolante, e che non sarebbe stato lo stesso senza i preziosi consigli di Emanuele Bobbio, nonché la chiarezza espositiva e la disponibilità di Alberto stesso. Al quale, proprio per dare l’idea della mia ignoranza in materia, non potevo che chiedere: cosa s’intende con slow journalism?

«Un approccio giornalistico che risponde a un’esigenza.»

Il messaggio è chiaro: c’è un bisogno dietro il giornalismo lento. Alberto spiega come l’avanzamento tecnologico abbia favorito, soprattutto negli ultimi anni, un notevole incremento nell’influenza dei media. Le nuove frecce al loro arco, però, sembrano perseguire più l’obiettivo dell’aggiornamento – tutti devono sapere tutto e subito – più che la capacità di approfondire. Questa ipertrofia della descrizione rischia di ostacolare la ricerca dei nessi e di far perdere il senso degli eventi, vissuti solo come happenings spontanei e indipendenti. Non come diversi momenti di una storia più complessa.

Sarebbe come se, di fronte a un quadro psicopatologico, ci si soffermasse sui soli sintomi più che sull’interazione con la personalità che li ha prodotti. Ecco allora che Lo Spiegone diventa la risposta all’esigenza di andare oltre i semplici fatti. Come un buon clinico che non si ferma ai sintomi, il giornale scandaglia l’informazione riportando le fonti, le analisi dei dati e proponendo una riflessione critica. Insomma, come dice il direttore, si tratta di «esaminare quello che circonda la notizia in senso stretto», nell’ottica di restituire valore ai fatti, non soltanto di riportarli. Questo approccio, però, non è rivolto all’informazione in generale: Lo Spiegone è prima di tutto un progetto dedicato alla politica estera. Una scelta che deriva da un altro bisogno inascoltato, ovvero di conoscere meglio il mondo intorno a noi – non solo quello che ci fa comodo: proprio tutto il mondo.

Oggi, mentre il conflitto russo-ucraino imperversa, la Cina espande la sua sfera di influenza, l’Iran degli Imam è in preda ai disordini e l’Alleanza Atlantica è sempre più presente, sembra che non si faccia altro che parlare di politica estera. Ma nel 2016, quando c’era solo l’embrione di ciò che è oggi la testata giornalistica, la geopolitica era qualcosa di abbastanza avulso alla vita dell’uomo della strada – un po’ come la virologia in era pre-pandemica. Forse, paradossalmente, questa instabilità fuori dai confini potrà essere da stimolo per comprendere tutte quelle realtà percepite come periferiche, così da abituare la vista anche a orizzonti più lontani.

Ma Lo Spiegone come lo fa?

Con l’accessibilità. Perché lo slow journalism non è un marchio di fabbrica e ci sono molteplici realtà che ne hanno fatto uno specifico metodo di approccio all’informazione – Vox e MicroMega, solo per citarne un paio. Ma sta proprio nell’accessibilità che si svela il quid del giornalismo lento firmato dalla testata romana. Come spiega Alberto, il giornale deve «fornire dei contenuti che siano liberamente accessibili e soprattutto comprensibili da tutte le fasce della popolazione.» E su questo particolare non si scherza: la redazione scrive nella bio che «anche le nostre nonne sarebbero dovute arrivare alla fine di ogni articolo senza interrogativi su quello che avevano letto (grazie nonna per esserti sottoposta a questa tortura)».

Quindi le nonne sono a bordo: ma i giovani?

L’accessibilità, del resto, è un tema caldo nell’era del social, per i giovani più che mai. Il progetto editoriale, inoltre, è nato da poco e si alimenta della passione giovanile di coloro che ne fanno parte. Ecco perché non può mancare la volontà di coinvolgere anche una fascia d’età cruciale – tarda adolescenza e giovani adulti – per qualsiasi proposta che voglia avere un futuro. Così, offrire un approfondimento che sia a un tempo accurato, frutto di una professionalità, ma anche a portata delle appendici smart di uso quotidiano, si traduce in un modo di fare informazione il più inclusivo possibile. Qualcosa di analogo a quanto sta avvenendo nella branca del sapere di cui mi occupo. Sempre più sdoganata come figura, lo psicologo approda sui social, sui blog, riceve online: in altre parole, si adatta allo spirito del tempo.

Però. C’è un però.

Voglio tornare al monito sull’immediatezza delle prime righe dell’articolo. Perché tutto ciò che la tecnologia può offrire ha un suo rovescio. Aleggia lo spettro della risposta cotta e mangiata, di dubbio valore, la cui facilità di accesso può tradursi in una scorpacciata o nel totale disinteresse. Due modi diversi di eludere quel bisogno di conoscenza cui è chiamato a rispondere chi fa informazione. Per riprendere l’analogia, è lo stesso rischio che si accompagna al mito dello psicologo portatile, un dottor Smile che Philip Dick aveva preconizzato già nel 1965, ai tempi di Le tre stimmate di Palmer Eldritch.

Allora come si può evitare questa perdita di credibilità nel giornalismo?

Innanzitutto, riconoscendo il potenziale dello strumento social: «clamoroso», per usare l’aggettivo scelto da Alberto. Non si può farne a meno se si vuole garantire l’accessibilità di cui Lo Spiegone si fa portavoce. Dopo di che, però, bisogna fare un passo indietro e riconoscere un’altra verità fondamentale: gli strumenti sono funzionali solo se servono uno scopo. Nel momento in cui siamo noi a servire lo strumento – per esempio creando solo contenuti fast, in linea con i vari algoritmi delle piattaforme – perdiamo di vista l’obiettivo. Nel caso specifico, ricorda il direttore, privilegiare la notizia va bene soltanto se mira ad aprire la discussione con libri, podcast, blog e tutto l’arsenale votato a un’informazione approfondita. Il social network può indicare la direzione come un qualsiasi strumento di bordo: sta poi all’essere umano governare fino a un sicuro approdo.

«Cerchiamo la vita, non l’efficienza. E questa nostra ricerca è direttamente contraria agli ideali collettivi della nostra epoca».

Sono parole di Carl Gustav Jung, che fanno pensare a un modo di approcciarsi alla realtà che tiene conto del contesto, senza però scadere in una totale identificazione con esso. Quando gli riporto alla bene e meglio la citazione, Alberto Pedrielli mi rende pan per focaccia con il rimando a un altro pensatore, il sociologo e filosofo tedesco Niklas Luhmann: «Possiamo noi credere oggi a quello che ci riportano i mass-media, considerato che cosa sta dietro il sistema dei mass-media?»

Rispondere con una domanda è molto da psicologi – «Si sta ribaltando la situazione!», esclamerebbe un certo Giovanni di un trio comico. Eppure, questa domanda risponde dell’idea condivisa dagli uomini e dalle donne che “non vedono l’ora di rallentare”. Alberto non mi fa stare sulle spine e semplifica il quesito di Luhmann: «Riportare i fatti aumenta il livello di rielaborazione?» Forse no, se la rappresentazione a monte è solo quella dell’efficienza, di testate giornalistiche con caricatori traboccanti di notizie, capaci di sparare a volontà decine di news al secondo, con l’intento di accumulare click su click, in un’escalation di sensazionalismo che però manca il bersaglio: rispondere a un’esigenza. E da professionista impegnato, il direttore de Lo Spiegone ci tiene a sottolineare proprio questo, ovvero che nella vita:

«Devi rispondere a delle esigenze specifiche e quindi non basta riportare le cose, letteralmente, rimanendo in superficie. Devi andare a scavare più in profondità, perché questo apre a degli orizzonti che riguardano una trasformazione personale.»

Una dichiarazione che, estrapolata dal contesto giornalistico, trovo applicabile alla perfezione anche alla psicologia analitica. Forse, non è un caso che la nostra società sempre più votata all’interconnessione, alla velocità, al tutto per tutti – e subito! – abbia sviluppato, parallelamente, la necessità di rallentare e di ritrovarsi in uno spazio a misura d’uomo. Non per niente, il motto de Lo Spiegone è In Trouble Be Clear, espressione che sembra evocare il tentativo – molto junghiano – di integrare gli opposti: immediatezza e chiarezza, accessibilità e profondità… giovani e nonne.

Ma per salutare il direttore Pedrielli e ringraziarlo della sua disponibilità ho voluto conoscere anche qualcosa del suo lavoro in qualità di Autore Nord America e Oceania. Aree geografiche che, di pancia, sentirei abbastanza avverse alla politica slow del progetto editoriale nostrano. Tuttavia, Alberto cita ProPublica e The Conversation – il primo statunitense, il secondo australiano – come ottimi esempi di media consacrati a un approccio più accurato, capaci di offrire inchieste e riflessioni a opera di giornalisti, analisti e ricercatori, accademici e indipendenti. Per cui, anche nella terra del fast sembra possibile rintracciare l’esigenza di entrare nel merito dei fatti, di inquadrare le novità senza fermarsi in superficie. E sono realtà molto seguite, capaci di resistere nonostante – o forse proprio in virtù – la tendenza a polarizzare il dibattito nel tentativo di mobilitare tutta l’attenzione disponibile.

Per concludere con le parole di Alberto Pedrielli, Lo Spiegone è «la possibilità di fare un’informazione diversa». Lo slow journalism – il loro slow journalism – si offre come valida alternativa a una corrente mediatica votata all’efficienza, dove i like, i follow, gli share, sembrano essere il fine e non il mezzo. Un giornalismo che vuole rimettere al centro le persone, ascoltarle, offrire loro un’informazione tagliata su bisogni umani, non di algoritmi. Un giornalismo che non ha paura di rallentare, perché ha capito che il cambiamento è un processo lento e profondo, come la vita.