"Meno cazzate", Nat Gildi

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“Ma anche se gli anni passano certe cose ti restano appiccicate addosso e tu lo sai, lo sai benissimo, ci sono persone i cui denti sono ancora affondati saldamente nella tua carne. Anche se gli anni sono passati, anche se tu, adesso, pensi di stare bene”.

È proprio di questi anni che parla Nat Gildi, classe 1998, nel suo nuovo romanzo Meno cazzate, edito Giulio Perrone Editore; anni di fuoco e di scoperta, di cadute e tentativi folli per trovare amore. 

Vivere i propri desideri in un mondo che pretende identità granitiche non è semplice. È un’impresa che richiede coraggio, l’ardimento incosciente di chi, nonostante l’età adulta, decide di vivere il mondo con lo sguardo radicato a un’infanzia ideale ma spesso non vissuta. Ogni età ha le sue esperienze, i suoi riti di passaggio, tuttavia, non c’è posto per le lacrime quando hai deciso di essere te stesso al di là di tutto, levandoti di dosso ogni tipo di etichetta per affrontare il mondo con il tuo vero volto, fin dalla primissima adolescenza.

E ciò che impara a sue spese la protagonista di questo romanzo spregiudicato e doloroso che, attraverso una serie di flashback, ripercorre la propria storia alla ricerca di un corpo da chiamare suo, di una persona da amare a prescindere dalle circostanze e dal sesso, dall’età e dalle ferite che ognuno si porta dentro come un marchio di personale lotta. 

Affermare la propria identità, infatti, è una guerra che richiede fermezza e fragilità, una certa dose di inquietudine e occhi limpidi, in grado guardare oltre la propria immagine riflessa nello specchio e negli altri. Sopratutto quando ci si ribella al pregiudizio che comporta l’essere donna in una società patriarcale e piena di vincoli, dichiarando la propria binarietà e il proprio distacco dalle norme legate al genere. 

Perché prima o poi arriva per tutti il momento; quello in cui ti chiedi chi sei quando nessuno guarda, cosa sei disposto a fare per essere visto. Se sei davvero meno donna solo perché hai tagliato i capelli; se meriti meno rispetto perché indossi una minigonna.

Il BDSM, le relazioni con uomini violenti, le donne “amate e sfuggenti”, la ricerca di quel tipo di affetto che travalica ogni ostacolo; ma anche l’impossibilità di fare pace con la solitudine e la possessività, la voglia di appartenere a qualcuno e sentirsi finalmente a casa. La protagonista di Meno cazzate attraversa tutto, passando dall’adolescenza all’età adulta dietro il bancone del Gorilla, il locale dei suoi esperimenti e il luogo in cui si annidano, come in un bizzarro alveare, una serie di personaggi singolari e complicati; uomini e donne amati e odiati che, talvolta nella parte delle vittime, ma molto più spesso in quella dei carnefici, ruotano attorno a lei fino alla notte del Dramma. 

Un Dramma con la maiuscola, che mette di fronte a una di quella verità con la quale è quasi impossibile venire a patti: l’amore non si può forzare. Non importa quel che si è disposti a fare, a rinunciare, persino a distruggere. C’è o non c’è. Ma se c’è ti sceglie così come sei, sbagliato e coperto di lacrime, senza imporre condizioni o dettare leggi che ti vogliono diverso. Se c’è ti rende migliore senza farci caso, ti impedisce di vergognarti di quello che sei, anche quando il mondo ti spinge a farlo. 

Per questo una pelliccia rosa non basta per proteggersi dal freddo e dagli uomini sbagliati, dalle donne che ti vogliono libera e indifferente, innamorata ma anche menefreghista; è necessario che l’incontro tra corpi diventi incontro tra solitudini, che l’emozione vada oltre i brividi che provocano certi sguardi, e l’amore per gli altri, diventi l’amore per il proprio sé bambino, che troppo spesso non crede di meritarlo ma, in fondo, lo merita più di tutto il resto.

Leon, Carlo, il Professore, L’Alchimista… sono solo alcuni degli uomini che insegnano alla protagonista le conseguenze a lungo termine degli amori che ti trascinano sul fondo; passando dallo schiavismo, all’ossessione, dalla paura, alla disperazione che scaturisce dal non sentirsi mai abbastanza, neanche quando si è disposti ad annullarsi, ad essere corpo qualsiasi fra altrettanti corpi. Uomini che sono esattamente come le donne; come Circe dagli occhi azzurri, Cris che non può rinunciare alle sue amanti, Allegra e le sue bottiglie d’alcol consumate sul muretto vicino alla scuola: esperienze-parassita che si incollano addosso alla protagonista senza nome e, trasformandosi in abitudine, diventano come le pareti macchiate di nicotina del Gorilla, che “ha l’aria di cadere a pezzi ma è casa”, perché l’ha vista minorenne e maggiorenne, vestita e svestita, con i capelli lunghi, poi corti e poi ancora lunghissimi. Che è stato il testimone silente e rumoroso di tutti i suoi sbagli, di tutti i suoi compiti in classe prima  e dei suoi esami universitari poi. 

Imponendo alla sua storia un ritmo cadenzato e a tratti febbrile, Nat Gildi decide di compiere un’impresa per pochi: dipingere l’amore con tutte le sue deformità grottesche, allontanandosi dall’ideale per scavare nella carne dei suoi personaggi — ma anche dei lettori —, dando così vita alla cronaca di un’educazione sentimentale sfrontata e sorprendente, in grado di sviscerare traumi e porre interrogativi, utilizzando la lingua sanguinosa di chi non teme lo scandalo.