Studiare “Una stanza tutta per sé” per essere liberi di sognare

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Adeline Virginia Woolf è una delle maggiori esponenti della letteratura britannica del XX secolo. Si scrive “è” e non “fu”, perché quando si parla di una personalità che ha di fatto rivoluzionato la concezione della donna nella società, sia in termini filosofici che economico-sociali, non si può parlare mai al tempo passato. Le sue opere letterarie continuano a vivere nelle azioni ed associazioni sociali odierne. La scrittrice getta le basi del femminismo, fondamenta che sono tutt’oggi, a decenni di distanza, punto di partenza e orizzonte a cui aspirare nella lotta per i diritti delle donne. Tuttavia, gli spunti che Virginia Woolf lascia in eredità nei suoi scritti vanno ben oltre la sua collocazione di personaggio di rilievo nel contesto dell’attivismo femminista. 

Nel capolavoro Una stanza tutta per sé, vero e proprio manifesto sulla condizione femminile dalle origini ai nostri giorni, la scrittrice critica il contesto nella quale nasce lo stesso saggio, quello in cui una donna che espone le proprie idee per essere ascoltata da tutti finisce per essere ascoltata, come sempre, da sole donne. Il saggio si fonda, infatti, su due conferenze tenute a Cambridge nell’ottobre del 1928, nei college femminili di Newnham e Girton. Contesto accademico che verrà fortemente criticato nei vari capitoli, perché luogo d’eccellenza della discriminazione femminile. In quell’occasione, l’autrice viene chiamata a tenere un discorso basato sul tema “la donna e il romanzo”. Un’idea iniziale che lascia spazio a riflessioni più profonde, le quali prendono in seguito direzioni differenti; tutte aventi il medesimo obiettivo di sostenere che la donna “dovrebbe avere una stanza tutta per sé e una rendita di 500 sterline l'anno.” 

Una stanza tutta per sé ha un’impronta profondamente formativa e pedagogica, quindi, sin dal contesto in cui prende vita, il lettore viene catapultato nell’universo narrativo di Virginia Woolf che, pur prendendo le sembianze di un viaggio fantastico con luoghi e personaggi fittizi, ha tanto una concretezza morale quanto politica, sociale ed economica.

La scrittrice parte, infatti, dall’esperienza di una studentessa universitaria a Oxbridge e utilizza la figura del professore-patriarca per esprimere un concetto più ampio: la giustificazione della superiorità dell’uomo rispetto alla donna. L’autrice scrive: «Senza fiducia in noi stessi siamo come i bambini nella culla. E come possiamo generare in noi, nel modo più sbrigativo possibile, questa imponderabile eppure inapprezzabile qualità? Pensando che gli altri sono inferiori a noi». La forza, la risonanza e, al contempo, la semplicità con cui il concetto viene espresso rendono adattabile a qualsiasi contesto tale “giustificazione”. Se si potesse espropriare, infatti, la precedente considerazione dal saggio, sarebbe possibile parlare non solo di un uomo che per sentirsi forte ha bisogno di screditare una donna, ma persino un qualsiasi altro individuo. Non è forse questo il principio su cui si basa anche il bullismo? Si sottolineano le debolezze altrui per nascondere le proprie. È chiaro, dunque, che anche quando Virginia Woolf cerca di delineare le ragioni che vi sono dietro l’ingiustificata inferiorità sociale della donna, non sta che riproponendo a parole semplici l’idea di dominio come struttura transepocale: elemento tipico del conservatorismo, che si ritrova in tutte le epoche come paradigma e forma originaria di ogni modalità di potere. E le donne, nel tempo, non sono state che le più oppresse tra gli oppressi.

Su questo presupposto, si sostiene l’idea che un libro come Una stanza tutta per sé possa parlare ad ogni singola persona poiché, pur avendo un tema di fondo ben delineato, si presta a notevoli livelli di interpretazione su questioni che sono, poi, alla base di tutti i tipi di relazioni umane. Un testo di questa portata non dovrebbe essere solo letto, ma addirittura inserito nei programmi scolastici e studiato anche in virtù del suo intento apertamente polemico. In primo luogo, perché sulla letteratura inglese si impara davvero tantissimo; di fatti, Virginia Woolf seppur con intento critico, ripercorre le opere delle scrittrici più importanti della storia britannica: dalla drammaturga Aphra Behn, alla scrittrice Mary Ann Evans.

La lettura approfondita di Una stanza tutta per sé rappresenta, inoltre, un punto di partenza molto importante per chiunque desideri vivere delle proprie passioni e non smettere di inseguire i propri sogni. Virginia Woolf rende noto, infatti, che tutto quello che ha scritto, l’excursus storico e letterario che ha seguito nel saggio, è stato fatto affinché le ragazze (e i ragazzi) del domani si sentano incoraggiati «a far fronte alla vita» a qualunque costo.

Una stanza tutta per sé parla di donne, eppure, non dovrebbe essere letto solo da queste. Non è un caso che ad un certo punto l’autrice proponga, come soluzione alla comprensione del testo, lo sviluppo di una mente androgina: un pensiero critico che riesca a capire davvero le cose poiché non sottoposto alle sovrastrutture della costruzione psicologica, tanto maschile che femminile.

Rivendicando i diritti delle donne e la loro necessità di liberarsi dal dominio maschile, lancia dei messaggi chiari. Uno in particolare: «La letteratura è aperta a tutti!» Quest’espressione sembrerebbe essere rivolta al sesso maschile, sostenendo con determinazione il diritto di fare e vivere di scrittura anche per le donne. Ma, ad oggi, potrebbe benissimo essere associata al diritto all’educazione — che dovrebbe spettare ad ogni persona sulla Terra —  o essere un appello volto a favore delle donne iraniane e afghane, che ancora lottano per la loro indipendenza e libertà. 

Ecco perché le parole di Virginia Woolf sono e saranno sempre attuali. In qualità di donna e di scrittrice, è riuscita a trasformare la condizione di una parte della popolazione da sempre oppressa in cultura viva. E questa è l’arma più potente che si possa usare per difendersi dagli abusi e ricordare che «nessun essere umano ci può chiudere la visuale».